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Le Ong dicono che il nuovo decreto del governo Meloni sui migranti causerà solo più morti in mare

Le Ong che salvano i migranti nel Mediterraneo hanno pubblicato una lettera congiunta indirizzata al Parlamento e al governo italiano: “Il nuovo codice di condotta per le navi umanitarie causerà un numero ancora più alto di naufragi”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Pochi giorni dopo la firma del Presidente Mattarella sul decreto Ong – che stabilisce il codice di condotta per le navi umanitarie che operano nel Mediterraneo – le stesse organizzazioni hanno pubblicato un messaggio congiunto diretto al Parlamento e al governo italiano, per chiedere di opporsi al decreto in fase di conversione in legge o di ritirarlo immediatamente. Dal primo giorno le Ong hanno detto che non avrebbero rispettato quanto previsto dal decreto, per tutta una serie di ragioni. Nel testo, firmato da EMERGENCY, Iuventa Crew, Mare Liberum, Médecins Sans Frontières (MSF), MEDITERRANEA Saving Humans, MISSION LIFELINE, Open Arms, r42-sailtraining, ResQ – People Saving People, RESQSHIP, Salvamento Marítimo Humanitario, SARAH-SEENOTRETTUNG, Sea Punks, Sea-Eye, Sea-Watch, SOS Humanity, United4Rescue e Watch the Med – Alarm Phone si legge:

Noi, organizzazioni civili impegnate in attività di ricerca e soccorso (SAR) nel Mediterraneo centrale, esprimiamo la nostra più viva preoccupazione per l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare l’assistenza alle persone in difficoltà in mare.

Il nuovo decreto legge, firmato dal Presidente italiano il 2 gennaio 2023, ridurrà le capacità di soccorso in mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo. Il decreto è apparentemente rivolto alle ONG di soccorso civile, ma il vero prezzo sarà pagato dalle persone che fuggono attraverso il Mediterraneo centrale e si trovano in situazioni di pericolo.

Le Ong ricordano il loro impegno in mare negli ultimi dieci anni:

Dal 2014, le navi di soccorso civili stanno riempiendo il vuoto che gli Stati europei hanno deliberatamente lasciato con l’interruzione delle proprie operazioni SAR. Le ONG hanno svolto un ruolo essenziale nel colmare questa lacuna e nell’evitare la perdita di altre vite in mare, rispettando sistematicamente le leggi in vigore. Ciononostante, gli Stati membri dell’UE – Italia in testa – hanno tentato per anni di ostacolare le attività di ricerca e soccorso civili attraverso la diffamazione, iniziative amministrative e la criminalizzazione di ONG e attivisti.

Nonostante il già vasto quadro giuridico completo per le attività SAR, ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Convenzione SAR), il governo italiano ha introdotto un’altra serie di norme per le imbarcazioni civili SAR, che ostacolano le operazioni di salvataggio e mettono ulteriormente a rischio le persone in pericolo in mare.

Poi le organizzazioni umanitarie entrano nello specifico, criticando apertamente quanto scritto nel decreto e soprattutto quanto previsto dal codice di condotta:

Tra le altre regole, il Governo italiano richiede alle navi di soccorso civili di dirigersi immediatamente in Italia dopo ogni salvataggio. Questo provocherebbe ulteriori ritardi nei soccorsi, considerato che le navi di solito effettuano più salvataggi nel corso di diversi giorni.

L’ordine alle ONG di procedere immediatamente verso un porto, mentre altre persone sono in difficoltà in mare, contraddice l’obbligo del comandante di prestare assistenza immediata alle persone in difficoltà, come sancito dall’UNCLOS. Questo elemento del decreto è aggravato dalla recente politica del governo italiano di assegnare più frequentemente “porti lontani”, che distano fino a quattro giorni di navigazione dall’ultima posizione delle navi.

Entrambe le disposizioni sono progettate per tenere le navi SAR fuori dall’area di soccorso per periodi prolungati e per ridurre la loro capacità di assistere le persone in difficoltà. Le ONG sono già messe a dura prova dall’assenza di operazioni SAR gestite direttamente dagli Stati e la diminuzione della presenza di navi di soccorso si tradurrà inevitabilmente in un numero ancora più alto di naufragi.

C'è poi un'altra questione, quella relativa ai dati personali che le Ong devono – secondo il nuovo decreto legge – raccogliere a bordo. È un modo, in sostanza, per far sì che la richiesta di protezione internazionale venga effettuata nello Stato di cui la nave umanitaria batte bandiera:

Un’altra questione sollevata dal decreto è l’obbligo di raccogliere a bordo delle navi di soccorso i dati dei sopravvissuti, che esprimono la loro intenzione di chiedere protezione internazionale, e di condividere queste informazioni con le autorità. È dovere degli Stati avviare questo processo e una nave privata non è il luogo adatto per farlo. Come recentemente chiarito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), le richieste di asilo dovrebbero essere trattate solo sulla terraferma, dopo lo sbarco in un luogo sicuro, e solo una volta soddisfatte le necessità immediate.

Nel complesso il decreto legge italiano "contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti umani e il diritto europeo, e dovrebbe quindi suscitare una forte reazione da parte della Commissione europea, del Parlamento europeo, degli Stati membri e delle istituzioni europee", concludono le Ong. E chiedono apertamente: "Noi, organizzazioni civili impegnate nelle operazioni SAR nel Mediterraneo centrale, esortiamo il governo italiano a ritirare immediatamente il decreto legge appena emanato. Chiediamo inoltre a tutti i membri del Parlamento italiano di opporsi al decreto, impedendone così la conversione in legge. Non abbiamo bisogno di un altro quadro politico che ostacoli le attività di salvataggio SAR, ma che gli Stati membri dell’UE garantiscano che gli attori civili SAR possano operare, rispettando finalmente le leggi internazionali e marittime esistenti".

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