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Come il dl Salvini e la pessima gestione dei migranti hanno favorito il contagio da Covid-19

In Italia non è mai stato pensato un piano ordinario per l’accoglienza dei migranti, ma si sono susseguite soluzioni emergenziali. Con i tagli dei decreti Salvini il circuito dell’accoglienza è stato colpito duramente: i migranti, cui è stata negata la protezione per motivi umanitari, sono stati stipati nei grandi centri, come il caso dell’ex caserma Serena di Treviso, dove il Covid-19 ha trovato terreno fertile per il contagio.
A cura di Tommaso Coluzzi
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La gestione dell'immigrazione in Italia è un tema complesso, da tanti anni al centro dell'agenda dei governi che si sono succeduti e mai realmente risolto. Anzi. Nel tempo la questione si è complicata ulteriormente a causa dei decreti Sicurezza, voluti con forza dal ministro dell'Interno del primo governo Conte, Matteo Salvini. Decreti che l'attuale esecutivo ha cambiato in parte, ma senza apportare quelle misure che avrebbero realmente rivoluzionato l'impianto del sistema di accoglienza in Italia. Una rivoluzione di cui c'è un gran bisogno. In questo contesto si è inserita la pandemia mondiale di Covid-19, che ha imposto di riconsiderare i migranti anche dal punto di vista sanitario: ne sono uscite fuori soluzioni assurde, come le navi da crociera per la quarantena. Questo sistema messo in piedi dai decreti Salvini ha prodotto un abuso, in questa fase, dei grandi centri governativi, senza che i migranti fossero ridistribuiti sul territorio italiano. L'innescarsi di focolai di Covid-19 all'interno di queste strutture è stata una naturale conseguenza del sovraffollamento di questi luoghi, con le tensioni sociali – interne ed esterne – ad aggiungere ulteriore carico a una situazione già pronta ad esplodere.

Il circuito dell'accoglienza e i decreti Salvini

Un lungo lavoro di Openpolis e Actionaid ripercorre le tappe del grande fallimento dell'accoglienza italiana. Nel 2016 il flusso migratorio dall'Africa all'Europa, e quindi all'Italia, aumenta esponenzialmente. Il picco di sbarchi nelle Regioni del Sud dura fino a metà dell'anno successivo. L'allora ministro dell'Interno, Marco Minniti, va in Libia per contrattare un accordo sui rimpatri. Un mese dopo il suo viaggio, all'inizio di febbraio del 2017, Fayez Al-Sarraj e Paolo Gentiloni firmano il controverso memorandum tra Italia e Libia per il "contrasto all'immigrazione illegale". Il circuito dell'accoglienza, però, non è stato mai ripensato in modo da indicare un percorso chiaro e netto ai migranti che arrivano in Italia. Un sistema che prevedesse di gestire il flusso migratorio non come un'emergenza, ma come un grande progetto d'inclusione. Un percorso da fare insieme, non un problema da risolvere. Nessun governo ci ha mai pensato.

L'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha voluto con forza i decreti Sicurezza, che hanno stravolto le regole dell'accoglienza in Italia. Lo Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati introdotto dalla legge Bossi-Fini del 2002, è stato trasformato in Siproimi, sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati. Il risultato è stato aumentare esponenzialmente il numero di migranti irregolari, vista l'eliminazione della protezione umanitaria. Ma cancellare le tutele non significa cancellare le persone. Chi poteva avere un permesso di soggiorno per motivi umanitari – che significa poter lavorare, farsi curare, iniziare a vivere e integrarsi – all'improvviso si è trovato a essere irregolare nel territorio italiano. Per ricevere una risposta alla richiesta di diritto d'asilo possono servire anche anni, così i migranti che continuano ad arrivare sono costretti ad aspettare un tempo indeterminato nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) gestiti dalle prefetture. Un tempo infinito e sospeso, in cui non c'è nessun processo d'integrazione.

Perché i decreti Sicurezza hanno favorito il contagio

Nel dicembre del 2018 è stato pubblicato il capitolato di gara del decreto Sicurezza, che ha creato effetti negativi su tutto il sistema. Sono tre le categorie di Cas: grandi (da 50 a 300 posti), medi (fino a 50 posti) e abitazioni. Fondi e servizi vengono tagliati, con i centri limitati a fornire un letto e un pasto caldo. È una pietra sopra l'integrazione. Così molti gestori, da anni nel circuito dell'accoglienza, hanno deciso di non partecipare ai bandi. Chi per motivi etici, chi per motivi economici. I grandi centri sono stati favoriti in questa corsa, perché in grado di assorbire le spese in modo diverso. I gestori di piccoli centri e unità abitative hanno dovuto fare un passo indietro. Il modello virtuoso dell'accoglienza diffusa viene colpito duramente, e a perderci siamo tutti.

Le prefetture hanno deciso autonomamente quanti fondi dedicare ai bandi per le tre tipologie di contratti: al Sud i grandi centri prevalgono, mentre al Centro e al Nord l'accoglienza diffusa nelle abitazioni e nei piccoli centri funziona bene, soprattutto nel Nord-Est. Tuttavia molti bandi vanno deserti o non vengono assegnati, e la metà di questi è destinata alle unità abitative, così il Ministero dell'Interno scrive una circolare in cui suggerisce di ripubblicare il bando destinando i fondi ad altre tipologie di centro, modificando i requisiti di accesso alla gara e rivedendo gli importi. Nessun risultato.

Nei grandi centri il Covid-19 è libero di circolare

La polemica sugli "immigrati che portano il virus", esplosa in estate, non ha nessun tipo di fondamento, anzi. I dati della comunità scientifica lo hanno confermato più volte. I migranti sbarcati in Italia vengono sottoposti a controlli accurati, o addirittura isolati in enormi navi per la quarantena. Controlli che ovviamente non sono stati fatti ai turisti stranieri, ad esempio. L'emergenza e il contagio non li creano i migranti, ma le leggi italiane che li stipano nei grandi centri.

Il caso dell‘ex caserma Serena di Treviso è esemplare: un Cas di grandi dimensioni, diventato focolaio non per colpa dei migranti ma del sistema, proprio nella zona – il Nord-Est – che aveva adottato di più l'accoglienza diffusa. Il taglio ai fondi e lo stravolgimento messo in piedi dai decreti Salvini ha favorito centri come l'ex caserma. Stracolmi, con pratiche lesive dei diritti umani, creando tensioni sociali interne ed esterne alle strutture. È scontato che ammassare centinaia di persone in questi centri, durante una pandemia di coronavirus, non possa essere una scelta saggia dal punto di vista sanitario. Troppo semplice dare la colpa ai migranti. Sarebbe servito un piano di redistribuzione sul territorio nazionale, dove ci sono strutture che, in questo periodo, sono tutt'altro che sovraffollate.

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