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Opinioni

Come il governo Meloni sta sfruttando la retorica del lavoro contro i lavoratori

Dalla polemica contro Landini sul primo maggio al mistero sul testo del decreto approvato dal Consiglio dei Ministri, passando per voucher, sussidi e contratti a termine: la comunicazione dell’esecutivo è diretta, ma per nulla trasparente.
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A cura di Roberta Covelli
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"Nel giorno della festa dei lavoratori, il governo sceglie di lavorare", così si apre il videomessaggio di Giorgia Meloni, ed è questa la cornice narrativa in cui la destra ha deciso di inserire la propria azione politica, appropriandosi di una retorica del lavoro che ha accomunato tanto la propaganda di Mussolini quanto lo stacanovismo sovietico. Ma che, come spesso accade, non corrisponde neanche ai fatti.

A dimostrarlo è l’assenza, dopo più di due giorni dalla riunione, di un testo ufficiale del decreto legge approvato. Eppure il comunicato stampa sul sito del Governo è chiaro: il Consiglio dei ministri non si è limitato a discutere uno schema, ma "ha approvato un decreto-legge che introduce misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro".

Questo decreto, però, ancora non esiste: alla stampa ne arrivano bozze, con testi pasticciati, che cambiano nel giro di qualche ora, con cancellature, proposte, rettifiche. E i pochi punti fermi non sono buone notizie per i lavoratori, nonostante Giorgia Meloni sostenga il contrario.

Dai voucher alla flessibilità: tutte le mezze verità a danno dei lavoratori

Tra le bozze che girano, alcune parti del testo paiono ormai consolidate. Lo è la sezione sull’inclusione sociale e lavorativa, con la disciplina dei nuovi sussidi che ricalca la struttura del decreto relativo al (tanto criticato) reddito di cittadinanza, peggiorando il sostegno ai più poveri, attraverso la riduzione della platea di aventi diritto e l’inasprimento dell’impianto ideologico.

Anche sui voucher l’azione del governo sembra chiara, e in linea con l’innalzamento del limite che c’era già stato con la manovra. Con il nuovo decreto lavoro, si potrà ricorrere ai voucher fino al limite annuo di 15mila euro da parte degli utilizzatori che operano nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento, anche se si tratta di aziende con più di dieci dipendenti. Si smentisce così la classica giustificazione per il ricorso a questo strumento: i voucher, esenti da imposizione fiscale, ma privi di tutele come maternità e trattamento di fine rapporto, vengono infatti spesso dipinti come la forma agile e legale con cui le famiglie possono retribuire collaboratori. Nella visione del governo Meloni, invece, i voucher potranno essere utilizzati anche da aziende con alti profitti, senza alcun riguardo né per le maggiori tutele a cui avrebbero diritto i lavoratori, né per il gettito fiscale di cui lo Stato si priva, favorendo il ricorso a questa forma di pagamento.

La norma sui contratti a termine continua invece a cambiare, con diverse versioni confuse, anche se la visione della ministra Calderone in materia era già stata espressa, tre mesi fa, al forum dei commercialisti. In quell'occasione, la ministra aveva anche criticato le disposizioni del Decreto Trasparenza, che, attuando la direttiva UE sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, prevede per i datori di lavoro l'obbligo di fornire ai lavoratori una serie di informazioni relative al rapporto di lavoro e ai diritti, individuali e collettivi, a esso connessi. Nelle varie bozze del nuovo decreto, la norma criticata dalla ministra è di fatto svuotata, perché il datore di lavoro potrà adempiere all’obbligo di informazione comunicando al lavoratore anche soltanto riferimenti normativi o contrattuali.

Tra disintermediazione e propaganda, dal videomessaggio alla polemica fallace

La mancanza di trasparenza è da sempre una strategia efficace per tentare di privare le persone dei propri diritti, siano esse lavoratori o cittadini: i primi, spesso inconsapevoli delle tutele che spettano loro, rischiano di pensare che lo stipendio sia una generosa elargizione e non il corrispettivo per le proprie prestazioni; i secondi finiscono per esercitare la sovranità popolare ingannati da trucchi retorici più o meno complessi, resi particolarmente incisivi dalla disintermediazione.

Quando la presidente Giorgia Meloni si sottrae alla conferenza stampa e alle domande dei giornalisti, per spiegare in un video-monologo quanto avvenuto al Consiglio dei ministri del primo maggio, attua proprio una disintermediazione: crea da sé il racconto della propria azione, assumendo contemporaneamente il ruolo di protagonista e narratrice, e instaurando così un rapporto diretto con il pubblico, che le permette di escludere dalla cronaca critiche e analisi.

Alla disintermediazione comunicativa, derivante dall’eliminazione dell’intervento giornalistico di potenziale dissenso, si accompagna poi una disintermediazione sociale, con l’attacco ai corpi intermedi anche attraverso la polemica con i rappresentanti dei sindacati. Nel rispondere alle critiche del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, sulla scelta provocatoria di convocare il Consiglio dei ministri in una giornata simbolo per i diritti dei lavoratori, Giorgia Meloni ha usato una evidente fallacia logica, la falsa analogia, con un paragone tra ministri, sanitari, forze dell’ordine e tecnici del concerto del primo maggio. Ovviamente il confronto non regge: infermieri, medici, poliziotti devono affrontare emergenze, gli organizzatori di eventi (concertone compreso) lavorano per definizione quando altri riposano o festeggiano; il lavoro dei membri dell’esecutivo, viceversa, dipendeva da una libera scelta della presidente, dettata da ragioni politiche e propagandistiche.

Il paradossale Cdm del primo maggio

Convocare il Consiglio dei ministri il primo maggio è stata una scelta simbolica, che ha finito per diventare paradossale: il governo Meloni si è vantato di lavorare per i lavoratori, nel giorno della festa dei lavoratori, ma ancora non è in grado di pubblicare i frutti del proprio lavoro, tanto impellente da dover essere svolto in una giornata festiva, e con l’ormai consueta decretazione d’urgenza, ma non abbastanza da avere un testo consolidato dopo più di due giorni dalla riunione.

Se allora una necessità politica è stata soddisfatta con questa esibizione di impegno istituzionale non è certo quella dei lavoratori (disoccupati compresi, come Costituzione insegna), quanto piuttosto quella di Giorgia Meloni, del suo governo e della sua parte politica.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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