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Long Covid

“Chi è allergico è più a rischio Long Covid”, dice Rescigno (Humanitas) a Fanpage.it

La professoressa Maria Rescigno ha spiegato in un’intervista a Fanpage.it i risultati ottenuti con lo studio appena pubblicato dall’Humanitas, condotto su un campione di 2.560 operatori sanitari. Si tratta del più grosso studio italiano sul Long Covid uscito fino ad ora.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il più grosso studio italiano sul Long Covid fino ad ora realizzato, pubblicato pochi giorni fa da Humanitas, ha coinvolto 2.560 operatori sanitari di 8 ospedali Humanitas in Lombardia e Piemonte, e di Humanitas University. La ricerca ha dimostrato che i vaccinati sono più protetti dal rischio di sviluppare il Long Covid. In particolare dai dati emersi si evince che la seconda e soprattutto la terza dose del vaccino mRNA riducono la prevalenza di Long Covid al 16%. Mentre i non vaccinati sono più predisposti al Long Covid, con un rischio del 41,8%. La professoressa Maria Rescigno, capo del Laboratorio di immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas e docente di Patologia Generale di Humanitas University, in un'intervista a Fanpage.it, ha spiegato i risultati ottenuti dallo studio, condotto nell'arco di due anni, dalla prima fase della pandemia, marzo 2020, quando ancora non erano disponibili i vaccini, fino ad aprile 2022, in piena ondata di Omicron.

Professoressa, come avete lavorato per realizzare lo studio?

Abbiamo coinvolto 2560 operatori sanitari, che venivano regolarmente controllati per l'infezione da SARS-CoV-2, perché lavorando nei reparti venivano controllati frequentemente, massimo ogni due settimane, per evitare che potessero contagiare eventualmente i pazienti. Lo studio è stato condotto dal marzo 2020 all'aprile del 2022, e si tratta non solo del più grosso studio italiano sul Long Covid, ma anche a livello mondiale è quello più controllato, perché è stato fatto su operatori sanitari di cui si potevano monitorare sia l'infezione sia i sintomi.

Cosa è emerso?

Avendo seguito questi operatori per oltre due anni abbiamo potuto vedere se questi soggetti avevano sviluppato il Covid prima della vaccinazione, o durante la vaccinazione, cioè tra la prima e la seconda dose, tra la seconda e la terza dose, o dopo la terza dose, in un periodo di tempo in cui come sappiamo si sono avvicendate diverse varianti. Questo ci ha permesso, attraverso l'analisi di un modello matematico, di andare a correlare lo sviluppo del Long Covid alle vaccinazioni. Quello che abbiamo osservato è che nel periodo delle vaccinazioni, già con la prima, ma soprattutto con la seconda e la terza somministrazione, si riduceva la percentuale di soggetti con il Long Covid. Dal 41,8% prima della vaccinazione a circa il 16% dopo la terza dose del vaccino. Significa che i soggetti erano più protetti dal Long Covid.

Quest'analisi ha coinvolto anche la variante Omicron? 

Sì, nella terza ondata abbiamo considerato sia Delta che Omicron.

E non c'è alcuna differenza rispetto alle varianti che sono state via via prese in considerazione?

No, il modello matematico ha mostrato che la protezione principale è dovuta alla vaccinazione, indipendentemente dal tipo di variante.

Avete somministrato a tutti lo stesso questionario? Cosa conteneva?

Nel questionario erano indicate le comorbidità di ogni individuo che partecipava, ma anche la tipologia dei sintomi e la loro durata. Per la definizione di Long Covid abbiamo considerato almeno un sintomo che perdurava oltre le quattro settimane dall'inizio dei sintomi, che è praticamente la definizione utilizzata da tutti negli studi che abbiamo letto. E visto che si trattava di operatori sanitari avevamo anche la possibilità di verificare queste informazioni, che erano sempre corrette, perché si trattava di addetti ai lavori che sapevano di cosa si stava parlando. Alla fine abbiamo confermato i dati della letteratura, il fatto che le donne sono più soggette a sviluppare il Long Covid. E all'aumentare delle comorbidità aumenta il rischio di Long Covid, soprattutto in soggetti allergici. A questo aggiungo che la terza dose del vaccino correla con una riduzione del Long Covid, dal 41,8% al 16%.

I sintomi che avete riscontrato maggiormente quali sono?

I sintomi più frequenti del Long Covid sono la ‘fatigue', cioè un forte affaticamento e la nebbia cognitiva. Si presentava in molti casi anche un mal di testa prolungato.

E la perdita dell'olfatto?

Quello si è verificato durante la prima ondata, con la variante Wuhan era il sintomo principale, con le altre varianti si è manifestato meno.

La platea del vostro studio era composta da uomini e donne?

La maggior parte erano donne, circa il 70%, gli uomini erano il 30%. Del resto la proporzione degli operatori sanitari è quasi sempre quella. Ma è molto meglio avere uno studio dove ci sono più donne. Per esempio lo studio che era stato pubblicato su ‘Nature Medicine', precedente al nostro, aveva coinvolto una popolazione di veterani americani, in cui le donne erano meno del 10%. In quello studio non era considerato l'aspetto del rischio maggiore per le donne. Inoltre quello studio non arrivava alla terza dose, e in molti casi era stato somministrato solo il vaccino monodose Johnson&Johnson. Da questo punto di vista il nostro è più completo perché è stato possibile considerare il ciclo vaccinale completo. E poi lo studio uscito su ‘Nature Medicine' analizzava dei database, non prevedeva questionari.

Perché avete escluso i soggetti ospedalizzati?

Secondo la definizione di Long Covid questo disturbo si presenta più frequentemente a seguito di malattia grave. Se un soggetto è vaccinato riduce il rischio di malattia grave, e quindi poteva essere un bias nel nostro studio. Volevamo concentrarci sul Long Covid associato alla malattia moderata o leggera, perché volevamo escludere il bias legato al fatto che la vaccinazione poteva ridurre la gravità della malattia e quindi sfalsare un po' i dati.

Quindi i soggetti ospedalizzati sono più a rischio di Long Covid?

La malattia si può presentare a tutti i livelli, però ci sono studi che dimostrano che i soggetti ospedalizzati sono più a rischio.

Per quanto riguarda il vaccino anti Covid il ministro Speranza ha dato il via libera alla quarta dose per tutti gli over 60, dopo la raccomandazione di Ema ed Ecdc. È una decisione corretta?

Sì, ci sono almeno tre studi che dimostrano che la quarta dose protegge dalla variante Omicron e soprattutto dalla BA.5. La quarta dose ha senso che venga somministrata agli over 60. Lo dice proprio uno studio recentissimo uscito su ‘The New England Journal of Medicine': il secondo richiamo riduce il rischio di malattia grave e di ospedalizzazione. Per gli utrasessantenni sicuramente la quarta dose protegge e aumenta il livello anticorpale.

Va fatta già con questi vaccini? O bisognerebbe aspettare quelli nuovi in autunno?

Questi studi che citavo sono stati fatti con vaccini a mRNA, sia Pfizer sia Moderna: con entrambi si è dimostrato che la quarta dose aumenta il livello di anticorpi neutralizzanti anche contro Omicron, e riduce il rischio di ospedalizzazione.

E per il resto della popolazione quando andrebbe fatta la quarta dose?

Questo dipende dall'andamento della pandemia. Per il momento l'indicazione è per i soggetti sopra i 60 anni. Poi vedremo.

Con il picco dell'infezione atteso entro luglio, e il tasso di positività in aumento, quali accorgimenti bisogna prendere? Bastano le mascherine?

In questo momento la mascherina ci protegge, soprattutto nei luoghi affollati. Va mantenuta al chiuso e in tutte le situazioni in cui è più facile che ci sia una alta circolazione del virus.

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