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Caso Franchi, Palazzotto: “Solo con congedo paternità obbligatorio madri non rinunceranno al lavoro”

Il deputato Pd Erasmo Palazzotto risponde all’imprenditrice Elisabetta Franchi: “Dispiace che queste frasi le abbia dette una donna, facendo da megafono a una convinzione dominante nel mercato del lavoro, che si fonda su una concezione medievale della società, secondo cui il ruolo della donna è prima di tutto quello di accudire i figli”.
A cura di Annalisa Cangemi
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L'intervista dell'imprenditrice e stilista Elisabetta Franchi, rilasciata al Foglio in occasione del convegno ‘Donne e moda', è stata contestata sui social e da una parte del mondo politico, da chi sostanzialmente pensa che una donna non debba mai essere costretta a scegliere tra carriera e famiglia.

Franchi ha detto senza giri di parole che nella sua azienda, se deve assumere donne, preferisce quelle ‘anta', perché "se dovevano far figli o sposarsi lo avevano già fatto e quindi io le prendo che hanno fatto tutti i giri di boa, sono al mio fianco e lavorano h24, questo è importante". Ma questa non è altro che la fotografia della situazione attuale, non è certo la risposta al problema della disparità di genere nel lavoro e alle discriminazioni che subiscono le donne. La questione del lavoro femminile può essere affrontata solo in un modo: con un maggiore coinvolgimento degli uomini nella gestione familiare, condizione che si può raggiungere soltanto stabilendo per legge congedi parentali uguali per padri e madri.

Il deputato Pd Erasmo Palazzotto ha presentato a gennaio una proposta di legge che introdurrebbe un congedo parentale universale di 3 mesi, obbligatorio. Lo abbiamo contattato per farci spiegare perché la sua proposta sarebbe innovativa rispetto al panorama europeo e cosa cambierebbe nel concreto.

Qual è secondo lei l'aspetto più grave delle dichiarazioni dell'imprenditrice Elisabetta Franchi?

Dispiace che queste frasi le abbia dette una donna, facendo da megafono a quella che purtroppo è una convinzione dominante nel mercato del lavoro, che si fonda su una concezione medievale della società, secondo cui il ruolo della donna è prima di tutto quello di accudire i figli e poi, solo se resta tempo, si può realizzare professionalmente per avere una sua autonomia e indipendenza. Quello che emerge da tutto l'intervento è che la maternità è un problema, e non invece un momento bello della vita di una persona.

Alla fine dell'intervista Franchi dice anche che noi donne abbiamo un dovere, che è "nel nostro Dna": "I figli li facciamo noi", e "il camino in casa lo accendiamo noi".

È in queste parole che troviamo la vera dimostrazione di quella visione culturale, per cui alla fine la cura della casa e della famiglia spetta come compito alla donna, e quindi sono gli uomini che si devono impegnare dal punto di vista lavorativo e professionale. È questo il pensiero di base che si annida dietro questa vicenda. Stupisce davvero che in questo caso la protagonista sia un'imprenditrice di successo, nel settore della moda.

La ministra Bonetti non ha condannato l'intervento, ma ha detto che "bisogna mettere le imprese italiane nella condizione di non dover più pronunciare un discorso come quello di Elisabetta Franchi".

Mi sarei aspettato che Elisabetta Franchi proponesse una soluzione a questa disparità che ancora oggi esiste tra uomo e donna, e che è solo uno degli aspetti della disparità, insieme a quella salariale. Spero che la ministra Bonetti colga invece l'occasione per porre la questione all'interno del governo.

Partiamo dalle differenze tra uomo e donna nei congedi. Le donne hanno 5 mesi, gli uomini appena 10 giorni facoltativi, e solo dopo un richiamo fatto dall'Unione europea…

Penso che la genitorialità debba essere una responsabilità condivisa al 50% da entrambi i genitori. E quindi credo che le condizioni per potersi prendere cura dei figli debbano essere le stesse, sia dal punto di vista dei diritti sia dal punto di vista dei doveri. Responsabilizzare anche gli uomini nei primi anni di vita porterebbe i padri ad avere anche negli anni a seguire lo stesso impegno nella cura che hanno le madri. Per questo sostengo l’idea di un congedo genitoriale paritario tra uomo e donna, e che sia obbligatorio per entrambi, per evitare che possa continuare ad affermarsi una logica patriarcale nelle relazioni sociali e nel lavoro. Che invece è quello che accade, e che Elisabetta Franchi certifica come immodificabile, tanto che dice che per adattarsi a questa situazione assume solo donne che abbiano già risolto il ‘problema' del confronto con la genitorialità. Ma la soluzione non può certo essere assumere le donne dopo i 40 anni.

A gennaio ha presentato una pdl, con un elemento di novità rispetto alle leggi in vigore in altri Paesi, rappresentato dall'obbligatorietà. Perché proponete un congedo obbligatorio?

Perché il tema riguarda sia il diritto a potere esercitare la genitorialità nei primi mesi di vita del bambino, sia il dovere di prendersene cura, che deve riguardare entrambi i genitori. L'obbligatorietà serve a questo, e le leggi servono anche a dare un indirizzo, sulla base dei nostri valori di riferimento, che sono quelli della Costituzione. Da uomo rivendico il diritto di prendermi cura di mio figlio, assentandomi dal lavoro, per vivere a pieno la paternità nei primi mesi di vita di mio figlio, ma questa deve essere anche una responsabilità che non può essere elusa, altrimenti il peso della genitorialità grava solo sulle donne, privandole di alcune opportunità lavorative. Penso che nel 2022 sia intollerabile che una donna in Italia debba trovarsi a scegliere tra lavoro e maternità.

L'obbligo serve anche a evitare che l'uomo possa subire pressioni in azienda, come già succede per le donne. Ma dal punto di vista culturale è sicuro che gli uomini siano pronti a rivendicare questo ruolo?

Se ci sono donne imprenditrici che pensano che sia giusto creare queste disparità nel mercato del lavoro, non mi sorprende che ci siano uomini che la pensano allo stesso modo. Poi è chiaro che non si può entrare nella dinamica dell'organizzazione familiare dei cittadini, ma creando un congedo parentale obbligatorio si ottengono due risultati: si tutela da un lato il lavoratore padre, da possibili ritorsioni aziendali, e dall'altro si toglie ogni alibi a quegli uomini che non pensano sia compito loro occuparsi dei figli, e che spesso usano il fatto di non potersi assentare dal lavoro come giustificazione per la loro assenza, che si fonda su un retaggio di una visione patriarcale della società.

In cosa consiste la pdl?

Il testo prevede un congedo obbligatorio di 3 mesi, riconosciuto a tutti i lavoratori nel pubblico e nel privato – ma anche agli autonomi – con identiche condizioni, le stesse per uomini e donne. Il congedo sarebbe coperto con una retribuzione al 100%. Un'altra modifica che noi introduciamo è la retribuzione al 100% anche per le lavoratrici madri, che invece per ora è prevista all'80%. Viene poi riconosciuta una flessibilità alle famiglie, e cioè il padre ha la possibilità di fruire del congedo nell'arco del primo anno di vita del bambino, anche sulla base delle esigenze della coppia: entrambi potrebbero goderne contemporaneamente, oppure padre e madre possono alternarsi, anche perché ricordiamo che la carenza di posti negli asili nido e i costi elevati per questi servizi spesso possono generare questa necessità.

Un'altra novità di questa legge è l'allargamento del congedo parentale alle coppie omogenitoriali. Come funziona?

Abbiamo deciso di estendere il congedo ai genitori che abbiano costituito un'unione civile e a quelle situazioni in cui legame stabile tra il genitore naturale e la figura di riferimento per il bambino sia accertato dal certificato di stato di famiglia.

Per quanto riguarda i costi? Quanto stimate?

La nostra stima, fatta con i dati Inps, è un costo che si aggira intorno a 1,5 miliardi all'anno per l'introduzione del congedo di paternità e per l'adeguamento della retribuzione alla copertura al 100% anche per le donne. In questo momento riteniamo sia l'investimento migliore che il nostro Paese possa fare, non solo in termini di civilizzazione – anche perché siamo tra gli ultimi posti in Europa – ma anche perché sprigionerebbe moltissime energie permettendo a molte più donne di lavorare. La genitorialità e la maternità sono processi di crescita individuale che di solito aumentano le potenzialità dei lavoratori: prendersi cura di un figlio migliora la capacità gestionale delle persone.

A che punto è la vostra legge?

In questo momento ci sono anche altre pdl depositate, alla Camera e al Senato, e sono tutte proposte che vanno nella stessa direzione. Speriamo che il Parlamento si assuma la responsabilità di calendarizzare finalmente una legge.

È possibile che questo avvenga in questa legislatura?

Quello che serve è la volontà politica. Può accadere se questa classe dirigente decide di affrontare uno dei nodi strutturali del nostro mercato del lavoro, che al momento lo rende poco competitivo. Quando pensiamo all'emigrazione dal nostro Paese, che in questi anni è stata più forte dell'immigrazione, non possiamo fare finta di nulla. Per un uomo che vuole fare il padre le condizioni in altri Paesi europei, come la Spagna o la Francia, sono per adesso più vantaggiose.

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