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News su migranti e sbarchi in Italia

Bloccare le partenze non risolverà la crisi migratoria: chi dice il contrario fa solo propaganda

Il naufragio a Cutro, purtroppo, è solo l’ennesimo di una lunghissima serie. In dieci anni almeno 26 mila persone hanno perso la vita cercando di attraversare il Mediterraneo. La loro morte non è stata un semplice incidente. Ci sono delle precise responsabilità politiche. Ed è ora che qualcuno se le assuma.
A cura di Annalisa Girardi
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Negli ultimi dieci anni, cercando di attraversare il Mediterraneo, sono morte oltre 26mila persone. Anche se probabilmente, purtroppo, sono molte di più le vittime. Per ogni naufragio che avviene sotto i nostri occhi, ce ne sono molti altri che rimangono “invisibili”. Barconi che improvvisamente spariscono, persone che sprofondano nelle acque e di cui nessuno ha più notizia.

Fonte: Missing Migrants Project, OIM
Fonte: Missing Migrants Project, OIM

Il naufragio di Cutro, purtroppo, non è che l'ennesimo. Solo alcuni giorni prima ce n'era stato un altro al largo della Libia, in cui avevano perso la vita 73 persone. Secondo quanto riportato dall'Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim), sarebbero oltre 130 i migranti morti cercando di attraversare il Mediterraneo dall'inizio del nuovo anno, in nemmeno due mesi.

Non si tratta di incidenti inevitabili. Per anni, dalle crisi migratorie iniziate nel 2013, i governi che si sono succeduti non hanno fatto altro che ridurre la capacità di ricerca e soccorso in mare, ostacolando la flotta civile e cooperando invece con le autorità della Libia, da cui salpa la maggior parte dei migranti che tenta di arrivare in Europa seguendo la rotta del Mediterraneo centrale, nonostante le Nazioni Unite abbiano più volte ribadito come il Paese non possa essere considerato un porto sicuro. Nonostante tutte le testimonianze sull'inferno dei lager libici, tanto quelli sotto il controllo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale che quelli gestiti dai trafficanti, dove vengono riportati i migranti intercettati in mare.

Se il Mediterraneo è diventato tristemente noto per essere un cimitero a cielo aperto, è anche a causa di precise responsabilità politiche.

La guerra alle navi Ong

La diminuzione dell'attività governativa di search and rescue non è qualcosa di nuovo. Dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, in cui morirono almeno 368 persone, il governo italiano dette il via alla missione Mare Nostrum, per pattugliare il canale di Sicilia e soccorrere i migranti che lo attraversavano, cercando così di evitare altre tragedie. Dall'anno successivo missioni di questo tipo furono affidate all'Unione europea. Ma piano piano iniziò anche a cambiare il paradigma che le guidava. Con l'aggravarsi della crisi dei rifugiati, e i picchi di arrivi del 2015-2016, le missioni navali da operazioni di soccorso assunsero sempre più l'obiettivo del controllo delle frontiere.

Piano piano l'attività Sarsearch and rescue appunto, venne depotenziata. Tanto che restarono solo le navi umanitarie delle Ong a prestare soccorso in mare.

Quando l'opposizione accusa il governo di aver fatto la guerra alle Ong, criminalizzandone l’attività e tenendole lontane dal Mediterraneo centrale, ha ragione. Ma sono stati i governi di centrosinistra i primi ad aver preso accordi con la Libia, addestrando e finanziando la cosiddetta Guardia costiera di Tripoli (in cui spesso sono infiltrati gli stessi trafficanti) diminuendo al tempo stesso la propria attività di ricerca e soccorso. Che gli Stati sarebbero invece obbligati a fare secondo la normativa internazionale. 

Poi è arrivata la destra al governo e ha iniziato una criminalizzazione della flotta civile, l'unica rimasta nel Mediterraneo a prestare soccorso. Prima le navi Ong sono rimaste bloccate in porto dalle politiche di Matteo Salvini, e poi sono state mandate a Nord, nelle acque lontane a quelle dove ci sarebbe bisogno loro, da quelle di Giorgia Meloni.

E gli scafisti?

Da parte sua, il governo addossa la colpa a trafficanti di umani. Questi sono criminali senza scrupoli, che si arricchiscono grazie a un’attività crudele, a cui nessuno importa se le persone vivono o muoiono. Ma nulla di tutto ciò non esula il governo dal rispondere delle sue responsabilità, che sono di tipo politico. Il fatto che delle organizzazioni criminali speculino sulla vita dei migranti, mettendola a rischio nel tentativo di entrare in Europa illegalmente, non può e non deve mettere in discussione che queste persone vadano soccorse quando si trovano in pericolo in mare.

Boicottare le ambulanze del mare, approvando un codice di condotta che cozza con tutte le premesse della normativa internazionale, non è la soluzione. Così come non erano una soluzione i blocchi navali che Giorgia Meloni proponeva in campagna elettorale e di cui sembra essersi improvvisamente dimenticata ora che siede a Palazzo Chigi.

Il governo è arrivato addirittura a dare la colpa del naufragio alle sue stesse vittime. È colpa di chi parte se nella traversata muore. “La disperazione non giustifica danni che mettono a rischio i propri figli”, ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Come se lui potesse sapere qualcosa della disperazione che porta una persona a mettersi sopra un barchino di legno e attraversare un mare; della violenza e la miseria da cui fuggono; di ciò che le aspetta se vengono riportate indietro.

"Fermare le partenze"

Se nessuno partisse nessuno morirebbe, certo. Ma chi parla di bloccare le partenze sta solo facendo propaganda. I flussi migratori dipendono da cause molto più complesse e radicate di quanto il governo non sia disposto ad ammettere. Le persone si sono sempre spostate e continueranno a farlo. Togliere di mezzo le navi umanitarie non farà diminuire le partenze. Renderà solo i viaggi più rischiosi, facendo al tempo stesso aumentare naufragi e respingimenti.

Chi afferma che le Ong siano un pull factor, sta mentendo. Le persone partono indipendentemente che queste siano in mare o meno e i numeri sui soccorsi e sugli sbarchi lo dimostrano. I migranti a Cutro stavano percorrendo una rotta che normalmente non viene nemmeno pattugliata dalle Ong. Sapevano che non le avrebbero trovate nel loro percorso.  Chi parte mette in conto di non essere soccorso. Ma, contrariamente alle teorie di Piantedosi sulla disperazione, continuerà a farlo. Non si possono fermare le migrazioni. Non si possono cancellare improvvisamente le ragioni che spingono le persone a rischiare la propria vita, nella speranza di trovarne una migliore.

Solo una cosa si può fare: si possono salvare.

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