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Platone e la verità sull’amore

La teoria dell’amore nel “Simposio” di Platone come possibile soluzione contro l’odierno individualismo, in cui l’eros diventa la prima forma di espressione della comunità.
A cura di Diego Fusaro
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Il simposio di Platone di Anselm Feuerbach
Il simposio di Platone di Anselm Feuerbach
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Nel "Simposio" di Platone, il commediografo Aristofane prospetta la sua visione dell'amore narrando il mito degli androgini. Un tempo gli uomini erano esseri perfetti e unitari: non mancavano di nulla, né v'era la distinzione tra uomini e donne. Ciascuno era un intero a sé bastante. Zeus, invidioso di tale perfezione, li spezzò in due: da allora ognuno di noi cerca senza posa la propria metà, trovando la quale fa ritorno all'antica perfezione.

Il mito degli androgini ci insegna che nessuno di noi è un intero a sé bastante, quand’anche si illuda di esserlo: la nostra natura è tale da essere politiké, “socievole” e “comunitaria”. In questo senso, l’eros, l’“amore” può con diritto intendersi come la prima forma della comunità necessaria, contro l’individualismo edonistico contemporaneo. Dice Aristofane nel Simposio: “Diventare l’uno con l’altro una medesima cosa, in modo da non lasciarsi mai né notte né giorno”. È questo ciò che gli uomini cercano con l’esperienza d’amore. Unità e dualità si intrecciano senza soluzione di continuità: nell’amore ciascuno è se stesso restando, però, duale la relazione. “Ritornando in tal modo alla natura più antica”, spiega il "Simposio": nell’esperienza erotica si tenta di hen ek dyon poièsai, “fare di due uno”.

Da quando Zeus li spezzò in due, gli uomini sono condannati a rincorrersi con l’anima sanguinante, cercando ciascuno la propria metà perduta: in tal modo, essi capiscono che la parte non è il tutto e che l’uomo non è dio. La punizione inflitta da Zeus è una punizione – come spesso accade presso i Greci – centrata sulla giusta misura e condannante la “ubris”, la “tracotanza” dell’illimitatezza. Se l’essere sferico che ciascuno di noi in origine era rimanesse intatto, allora l’amore resterebbe ignoto, perché mancherebbe la tensione verso il mancante: né la bellezza sarebbe cosa degna di essere amata.

La vera perfezione può nascere solo ricongiungendo quel che è stato separato, con una seconda unità: la prima era unità imperfetta, priva di grazia, data. La seconda, invece, è esito di uno sforzo e di una conquista. È guadagnata, non data. Per il "Simposio" di Platone, contro l’odierno individualismo acefalo, la separatezza dell’essere “in-dividui” è una patologia dolorosa, una condizione anomala che deve essere superata.

Eros è, allora, costitutivamente sforzo del ritorno odisseico alla patria dell’unità originaria: è struggente ricordo di quell’unità che eravamo e che ora non siamo più, coscienza sofferta del nostro attuale essere difettivo. È riconoscimento del fatto che solo mediante il nesso con ciò che in apparenza è altro da sé il sé può costituirsi, nella forma di un’unità duale. La dinamica erotica non è uscita dalla propria identità e perdita di sé. Il vero sé non è l’io singolo, ma l’intero, l’unione erotica conquistata nello sforzo e nella tensione.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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