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Perché tocca allo Stato (e dunque ai cittadini) pagare i debiti de L’Unità

Lo Stato ha versato 107 milioni di euro alle banche creditrici della vecchia gestione dell’Unità dei Ds. I debiti accumulati fino al 1994 sono ricaduti sui contribuenti per via di una legge del 1998, che stabiliva la garanzia dello Stato in caso di insolvenza del partito. E di qualche furba operazione.
A cura di Claudia Torrisi
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Lo Stato ha versato 107 milioni di euro alle banche creditrici della vecchia gestione dell'Unità dei Democratici di sinistra. I debiti accumulati fino al 1994 dal giornale fondato da Antonio Gramsci sarebbero quindi, in sostanza, stati ripianati con denaro pubblico. Secondo Sergio Rizzo, che riporta la notizia sul Corriere della Sera, tra l'altro, "mancherebbero altri 18 milioni dovuti alla Sga, società nata dieci anni fa con la funzione di recuperare la montagna di crediti dal crac del Banco di Napoli che ha ritenuto di non rivendicare quella cifra". I soldi sono stati versati da Palazzo Chigi con "riserva": teoricamente ci sarebbe la possibilità che il giudizio di appello ribalti la decisione. Ma le speranze sembrano poche.

Il motivo per cui i debiti del quotidiano dell'ex Pci sono ricaduti sui contribuenti è da ricercarsi in una legge del 1998, emanata sotto il governo Prodi e ignorata dai più finché non si è presentato il conto salato. La legge – un piccolo testo di soli 5 articoli – è la numero 224 del 1998, "Trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari e agevolazioni per l'editoria". Al comma 2 dell'articolo 4, la norma recita:

La garanzia concessa a carico dello Stato applicata per capitale, interessi anche di mora ed indennizzi contrattuali, è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario ovvero a seguito di inizio di procedure concorsuali. Gli interessi di mora, se dovuti, sono calcolati in misura non superiore al tasso di riferimento cui è commisurato il tasso di interesse del finanziamento fino alla data della richiesta di perfezionamento della documentazione necessaria alla liquidazione e al tasso di interesse legale per il periodo successivo.

In poche parole: il partito si fa carico dell’esposizione del proprio giornale con le banche, ma qualora i dimostri inadempiente con i creditori, interverrà lo Stato, compresi gli interessi di mora. I Ds si erano accollati l’esposizione debitoria dell’Unità: i debiti ammontavano a circa 450 milioni di euro, somma che Ugo Sposetti, il tesoriere del partito, ai tempi, provò a ripianare, non riuscendovi del tutto. Così è entrata in gioco la legge del 1998.

La questione, a dir la verità, era già stata sollevata nel luglio del 2014, da un articolo di Manuele Bonaccorsi, sempre sul Corriere della Sera. Il giornale aveva riportato la notizia che, poche settimane prima, "tre pool di banche, capitanati da Intesa San Paolo, Bnl e Banca Popolare, hanno ottenuto dal Tribunale di Roma l’emissione di altrettanti decreti ingiuntivi contro la presidenza del Consiglio dei ministri". Sostanzialmente le banche hanno chiesto allo Stato di tenere fede alla legge del 1998 e pagare i debiti. Il provvedimento, però, non era esecutivo, perché Palazzo Chigi aveva fatto ricorso tramite l’Avvocatura dello Stato.

In effetti, a maggio di quest'anno, il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, rispondendo a un’interpellanza del Movimento 5 Stelle, aveva precisato che la Presidenza del Consiglio con l'Avvocatura generale dello Stato e l'Agenzia delle entrate erano impegnate ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare facente capo ai Ds, dalla cui espropriazione le banche avrebbero potuto recuperare, in tutto o in parte, i loro crediti:

Nel marzo 2009 gli istituti di credito notificavano al partito PDS-DS e alla presidenza del Consiglio ‘atti di risoluzione ed invito ad adempiere', dichiarando di ritenere risolto il finanziamento erogato e intimando il pagamento fino al saldo del debito, con l'avvertenza che, in caso contrario, si sarebbe dato inizio alle conseguenti azioni, ivi compresa l'escussione della garanzia primaria dello Stato. A fronte di tali intimazioni il Dipartimento obiettava l'illegittimità e l'infondatezza delle richieste di pagamento e chiedeva il parere dell'Avvocatura generale dello Stato. Ebbene l’Avvocatura generale dello Stato ha espresso il proprio parere con nota del novembre 2011, in cui si afferma tra l'altro che l'escussione della garanzia dello Stato da parte delle banche è subordinata alla previa dimostrazione: di quale sia (sia stata nel periodo dal 1999 all'attualità) la situazione patrimoniale complessiva dei debitori; delle iniziative di cui le banche si siano fatte promotrici per aggredire il patrimonio dei debitori e cercare di ottenere il soddisfacimento dell'ingente credito vantato. E che solo qualora dall'esame di tali elementi dovesse emergere uno stato di perdurante insolvenza, nonostante la tempestiva adozione di tentativi di recupero dei rispettivi crediti da parte delle banche, si potrebbe ipotizzare un intervento dello Stato.

Solo, quindi, in caso di stato di "perdurante insolvenza" dei Ds, "si sarebbe potuto ipotizzare un intervento dello Stato". Perdurante insolvenza che, per l'appunto, si è verificata.

Per capire come si è arrivati a questa situazione bisogna, dunque, fare un passo indietro.

Nel 1994 l’Unità spa va in liquidazione, lasciando debiti con varie banche per 125 milioni. Li dovrebbe pagare il partito, magari vendendo degli immobili. Nell'articolo dell'anno scorso sul Corriere, Bonaccorsi ricostruisce che nel 2001 Sposetti – oggi senatore Pd e presidente della Fondazione Ds – "si trova alle prese col debito monstre del partito: 447 milioni di euro. Di questi 125 milioni di euro provenivano da mutui concessi a l’Unità (di cui 82 a carico di Bnl, 32 di Intesa, 20 di Ifibanca, oggi Banco popolare). Debiti che non preoccupavano più di tanto i vertici dei Ds, perché avevano una garanzia a prova di crack: quella dello Stato". Quando la Quercia, nel 2002, "chiama in aiuto un pool di consulenti tecnici per capire come evitare un fallimento che sembra sicuro, i maghi dei conti lo scrivono nero su bianco". Il Corriere quindi cita un documento riservato con l'obiettivo dichiarato:

"trasferire il debito del partito derivante dai mutui editoria allo Stato, il quale peraltro ne è già garante."

Nel 2007 Democratici di sinistra, sotto la regia di Sposetti, decidono quindi di blindare il proprio patrimonio immobiliare dentro la Fondazione Ds. Quest'ultima ha ceduto a sua volta gli immobili a 57 fondazioni locali presenti in tutta Italia. Soggetti giuridici autonomi e indipendenti, non più connessi al partito centrale. A questo deve aggiungersi che alla nascita del Partito democratico, la nuova creatura del centro sinistra non ha ereditato nulla dai Ds, né ne ha raccolto la situazione economica. Il risultato è che dal 2008 la mole di debiti contratti dall’Unità non viene più pagata. E, non essendoci più beni da aggredire, le banche sono venute a chiedere il conto allo Stato.

In un'intervista rilasciata a Report a maggio scorso, Sposetti spiega la situazione chiaramente: "Il debitore è morto. Se il debitore muore, che succede? Ci sono le norme e in questo caso un magistrato civile ha detto ‘guarda, signor Stato, che devi pagare tu'". Alla domanda del giornalista se, alla luce della legge del 1998, la mossa dei Ds di liberarsi del patrimonio sia stata strategica, l'ex tesoriere risponde: "Quindi che vuol dire? Che sono stato bravo! Se m'avessero dato un incarico, una società mi avrebbe dato tanti soldi per fare questo lavoro". Sposetti rivolgendosi all'intervistatore dice anche di più: "Se lei dà una garanzia a me per una mia esposizione bancaria che mi garantisce fino al 2020, se io poi non posso più onorare, la garanzia l’ha data lei, giusto? Non le faccia queste cose, non dia garanzie perché vengono a cercare lei. Cioè, se Sposetti le chiede le garanzie non gliele conceda perché vengono a cercare lei dopo". Appunto.

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