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Perché la Bce ha tagliato i tassi sull’euro

Mario Draghi dà lo “zuccherino” (taglia i tassi e annuncia l’acquisto di Abs da ottobre, per far calare l’euro) ma mostra anche il bastone: le riforme strutturali vanno fatte o non ci sarà ripresa in Europa. A Roma avranno capito?
A cura di Luca Spoldi
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E’ la notizia del giorno: la Banca centrale europea (Bce) ha limato i tassi ufficiali sull’euro di altri 10 punti base portando il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale con cui la Bce presta denaro alle banche dell’eurosistema da 0,15% a 0,05% e quello sui rifinanziamenti marginali cala da 0,40% a 0,30%, mentre il tasso sui depositi che le banche detengono presso la stessa Bce è sempre più negativo, passando da -0,1% a -0,2%.  Non solo: in conferenza stampa Mario Draghi, presidente della Bce, ha spiegato che “sì, abbiamo discusso del quantitative easing (l’acquisto direttamente sul mercato di titoli obbligazionari, ndr), con alcuni membri del Board che volevano che la Bce facesse di più, mentre altri volevano fare di meno”.

Risultato: da ottobre la Bce inizierà ad acquistare unampio portafoglio di obbligazioni semplici e trasparenti”, misura che avrà “un impatto significativo sul nostro bilancio” e che potrà essere seguita, se sarà necessario, da ulteriori “misure non convenzionali” sul cui utilizzo, per “contrastare una prolungata fase di bassa inflazione”, c’è stata l’unanimità di tutti i 24 membri del Board. Draghi, insomma, non delude le attese e contrariamente a quanto avevano in mattinata fatto pensare le parole estremamente prudenti del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem (secondo cui sarebbe stato meglio valutare “tra un po’” i risultati del pacchetto di misure decise in giugno dalla Bce, i cui effetti “devono ancora prendere corpo”) prova a scavalcare il mercato aprendo il cofano della Bmw d’ordinanza e mostrando che lui il “bazooka” ce l’ha davvero e non solo a parole, nonostante i dubbi, emersi ancora negli ultimi giorni, delle autorità tedesche.

Servirà questa nuova mossa di Draghi a debellare il rischio di una prolungata “gelata” dell’economia che la sempre più accentuata deflazione (ossia variazione negativa dei prezzi al consumo su base annua) dei paesi del Sud Europa testimonia essere in atto? Dipende e comunque non stappate lo spumente, tutto ha un prezzo. Anzitutto la deflazione attuale è frutto della decisione di procedere “senza se e senza ma” ad un recupero di produttività che in Italia si è del tutto giocato, per ora, sul taglio del costo del lavoro attraverso la riduzione dei compensi, visto che di taglio del cuneo fiscale non si può ancora parlare e nonostante che lo stesso resti il vero macigno che appesantisce il costo del lavoro in Italia rispetto alla Germania o, per fare un paragone più con un modello di riferimento più appropriato (come ricorda sovente lo strategista finanziario Mario Seminerio), al costo del lavoro in Spagna dopo le riforme di questi ultimi anni.

Tagliare il cuneo fiscale e in generale ridurre il peso del fisco sarà possibile solo riducendo la spesa pubblica, cosa che in fase di recessione strisciante rischia di produrre un immediato contraccolpo negativo in termini di Pil, e rendendola più efficiente e sostenibile; in ogni caso siccome la crisi “che non esisteva” sta continuando a distruggere aziende e posti di lavoro, se non si fosse trovata un'alternativa era impensabile sperare che i prezzi tornassero a salire (in Italia e in tutto il Sud Europa), per assoluta e prolungata crisi delle domanda interna. L’alternativa in questione, come già ricordavo ieri, era e resta a breve termine indebolire l’euro, cosa che è effettivamente avvenuta subito dopo gli annunci della Bce.

La divisa unica si è infatti riportata appena sopra quota 1,30 contro dollaro, mentre la abbondante liquidità (destinata a crescere ulteriormente dopo che il 18 settembre la Bce renderà noti gli importi che saranno erogati alle banche europee che hanno chiesto di partecipare alla prima Tltro), sempre meno remunerata sul mercato (il tasso Euribor a tre mesi era già calato ieri allo 0,15% lordo annuo, quello a un mese allo 0,06%, domani si vedrà di quanto ulteriormente calerà per incorporare la decisione della Bce, che il mercato apparentemente non scontava fino a stamattina) cerca un impiego redditizio sui titoli di stato, comprimendone spread e rendimenti tanto che il Btp decennale guida italiano oggi paga un tasso pari al 2,36% (dal 2,40% di stamane), con uno spread dell’1,407% lordo annuo (a inizio giornata era sopra l’1,422%).

Riassumendo: la Bce col taglio dei tassi sull’euro e con l’annuncio del prossimo avvio di un piano di acquisto di “Abs” (Asset backed securities, titoli di credito cartolarizzati assistiti da garanzie reali) fa capire ai mercati che vuole un euro stabilmente più debole e una curva dei tassi ancora più appiattita verso il basso. Ne traggono giovamento immediato gli stati molto indebitati come quello italiano (che pagheranno meno interessi sulle nuove emissioni a tasso fisso e sulle cedole dei titoli a tasso variabile già in circolazione), le banche (che potranno rifinanziarsi più agevolmente, avendo così modo e tempo di continuare a svalutare o cedere i crediti problematici in portafoglio), le grandi e medie imprese in grado di finanziarsi sul mercato con l’emissione di bond e mini-bond e i privati cittadini che in questi anni si sono indebitati a tasso variabile, ad esempio per quanto riguarda il mutuo con cui hanno comprato o ristrutturato casa.

Nessun beneficio, per ora, raggiunge le Pmi e i lavoratori che non riescono a trovare un lavoro: per loro, infatti, sarà necessario anzitutto che le banche interrompano la stretta sul credito, cosa che forse si vedrà nell’ultima parte dell’anno e dal 2015, una volta superato lo scoglio dei risultati dell’Asset quality review (attesi in ottobre, secondo le attese del mercato solo nove istituti in tutta Europa potrebbero non riuscire a superare l’esame e dover lanciare aumenti di capitale per una cinquantina di miliardi di euro complessivi). Quando le banche (in varia misura affiancate dallo “shadow banking system” europeo ed italiano, composto per lo più operatori quali assicurazioni, gestori patrimoniali e fondi di private equity) torneranno a concedere credito qualche investimento potrebbe tornare a vedersi in Europa e forse in Italia (sempre che nel frattempo le famose riforme strutturali siano state in grado di rendere più attraente il nostro paese per gli investitori) e con essi si potrà vedere un ritorno alle assunzioni, secondo un circuito virtuoso che in questi anni si è visto solo in parte e solo negli Stati Uniti.

La Bce di Draghi riuscirà ad attivare questo circuito virtuoso che porterebbe ad una ripresa degna di tal nome anche in Europa ed in cambio cosa chiederà? E’ lo stesso ex governatore di Banca d’Italia a farlo capire, in un passaggio chiave della sua conferenza stampa in cui ribadisce: “Non c'è nessuno stimolo monetario, o di bilancio, che possa rilanciare la crescita senza forti e decise riforme strutturali”. E quindi occorrerà usare i margini del Patto Ue “tagliando le tasse molto distorsive e tagliando la spesa più improduttiva”. Il conto alla rovescia per il commissariamento dei paesi “renitenti alle riforme” (uno a caso: l’Italia) è iniziato, addolcito dallo zuccherino del taglio dei tassi? Così sembrerebbe e poco importa se il commissariamento sarà diretto o de facto, attraverso una “volontaria” conversione sulla via delle riforme suggerite da Bruxelles. Se qualcuno non se ne fosse accorto, il tempo per gustarsi i coni gelati è finito a fine agosto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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