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Opinioni

Perché il caso della bandiera neonazista può diventare un attacco alla libera informazione

Il caso della bandiera del Secondo Reich affissa nella Caserma Baldisserra si è risolto con la piena assoluzione del militare. Ma l’Arma ha puntato il dito contro il giornalista che ha fatto lo scoop, che è stato accusato di aver agito con “procedure più affini a quelle del rotocalco da gossip che a quelle della cronaca”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il militare che ha esposto la bandiera della Prima Guerra Mondiale, e precisamente un vessillo della marina militare tedesca, la Kaiserliche Marine del Secondo Reich, è stato assolto da tutte le accuse. Secondo l'Arma il giovane ha agito in buona fede: "La conclamata mancata partecipazione del militare a manifestazioni di tipo eversivo, nel corso delle quali si sarebbe ipoteticamente fatto uso del vessillo – si legge nel documento notificato al militare – rende plausibile la possibile (…) mancata conoscenza dell'uso improprio". Tradotto: il carabiniere non solo non era a conoscenza del fatto che di questa bandiera si fossero appropriati gruppi neonazisti di tutta Europa, ma da questi gruppi il giovane si è dichiarato distante. E, secondo quanto ha dichiarato all'Arma, la prova della sua "innocenza" sarebbe avvalorata dal fatto che "il luogo ove è avvenuto l'acquisto", dello stendardo, cioè un sito che vende articoli militari, "risulta alieno da qualsiasi connotazione estremistica".

Lungi da noi voler contraddire le motivazioni del comando del Quinto reggimento carabinieri Emilia Romagna. Ma una volta appreso l‘annullamento della sanzione di tre giorni di consegna per il carabiniere possiamo fare qualche considerazione. Le reazioni a caldo, quando sono state diffuse le immagini della bandiera affissa in una stanza della Caserma Baldisserra di Firenze, al di là dei grossolani errori storici sulla datazione del simbolo (che, ricordiamolo, rimanda a un periodo antecedente all'avvento del nazismo), ponevano un semplice quesito: è corretto che un servitore dello Stato, come un carabiniere, esponga un simbolo largamente sfruttato da formazioni xenofobe per fare propaganda al nazismo?

Punto primo, come si è detto il giovane, pur essendo uno studente di storia, e un militare in carriera che presta servizio per la collettività, non era a conoscenza del messaggio che questa bandiera veicola oggi. Ammesso che un appassionato di araldica, come si professa il ragazzo, possa essere all'oscuro di queste derive, nel nostro ordinamento giuridico esiste comunque un principio, racchiuso nella locuzione latina "Ignorantia legis non excusat", cioè "L'ignoranza della legge non scusa", su cui si basa il concetto di "colpa", che si verifica quando si commette un reato senza intenzione. Senza volerci addentrare in tecnicismi giuridici, in questo caso occorre sottolineare che per alcuni tipi di reato basta che un evento si verifichi per "imperizia", "negligenza" o imprudenza", pur in assenza di una volontà di commetterlo. Certo nel nostro caso pare che il militare ignorasse il "significato" di un simbolo, e non siamo di fronte all'ignoranza di una legge in senso stretto, ma rimane una sorta di responsabilità "colposa", nell'aver esposto comunque in bella vista il vessillo. Anche se naturalmente il concetto della colpa non è applicabile, secondo il nostro ordinamento, all'apologia del nazifascismo. Tra l'altro, la legge che porta il nome di Emanuele Fiano, si è persa tra i meandri della passata legislatura, annacquata dalle critiche.

Punto secondo, se la vicenda della Reichskriegsflagge, è stata liquidata in fretta, giudicata un inutile polverone, il giudizio sul giornalista che ha "scovato la notizia", appare ancora più straniante. Secondo l'interpretazione dell'Arma, adesso è su chi ha fatto informazione che bisogna indagare, visto che siamo in presenza di un "giornalismo attuato con procedure più affini a quelle del rotocalco da gossip che a quelle di organi deputati alla cronaca". Il comando del Quinto reggimento ha disposto che tutti gli atti siano inviati in Procura per eventuali valutazioni nei confronti di chi ha scattato la foto alla bandiera. Non ci sarebbero stati gli elementi sufficienti insomma per costruire un servizio giornalistico, e anzi si imputa al reporter un "errore" di cui potrebbe dover rispondere, perché avrebbe agito (in malafede?) per gonfiare uno scoop ad arte. Ma ribaltiamo il punto di vista: e se invece il giornalista avesse solo fatto il suo dovere? Forse il problema di interpretazione risiede altrove, complice le semplificazioni del dibattito intorno al ritorno dell'onda nera, cavalcata soprattutto, diciamolo, dal Pd durante la campagna elettorale. E quando si grida "Al lupo al lupo!", senza una ragione, poi si fa presto perdere il contatto con la realtà: il paradosso è che nella confusione creata da tanta retorica (vi ricordate il caso della spiaggia fascista di Chioggia?) si finisce per non riconoscere un simbolo neofascista neanche se ci si sbatte il muso contro. Sarà anche antidemocratico criminalizzare il ricorso a immagini che si riferiscono al Ventennio a prescindere dallo scopo per cui vengono usate, ma prendersela con i giornalisti che puntano il dito contro una rappresentazione palese di quell'ideologia è un po' troppo.

Ricapitolando, vogliamo dire che il carabiniere è un nazifascista? Certamente no. Ma da parte di un militare ci si aspetta forse una maggiore accortezza nella scelta delle decorazioni per le pareti della sua stanza, per la quale, siamo certi, la prossima volta preferirà magari uno stemma più neutro e che lasci meno spazio a fraintedimenti.

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Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
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