45 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Perché erano in Siria: il progetto partecipativo del giornalista fermato

Il progetto di giornalismo partecipativo che ha spinto i giornalisti a tornare in Siria.
A cura di Redazione
45 CONDIVISIONI
Il sangue continua a scorrere nel Paese dilaniato dalla guerra tra le forze del regime di Assad e quelle dei ribelli. Tragico anche il bilancio parziale di oggi: morte 84 persone tra cui 21 bambini. E l’ultima accusa dell’uso delle armi chimiche arriva da un disertore.

Queste le parole con cui Ricucci – uno dei giornalisti fermati – descriveva il suo progetto e la sua voglia di informare sui fatti siriani. Un'idea di giornalismo partecipativo che l'ha condotto a ritornare in Siria.

Onesta, umiltà, passione, competenza, interazione e trasparenza: sono secondo me i presupposti per costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network. Non c’è altra via per recuperare la credibilità di un mestiere che sembra aver perso l’anima, oltre che la bussola, e si dimostra sempre più incapace di intercettare le esigenze reali dei suoi  ”editori di riferimento”, quelli veri, che sono i lettori o i radio-tele-spettatori, al cui servizio noi giornalisti dovremmo  porci, sempre. Le tecnologie digitali offrono da questo punto di vista delle opportunità gigantesche per innervare di linfa fresca il nostro lavoro, per ridargli senso e dignità. Bastano solo un pizzico di coraggio e la voglia di sperimentare, rimettendosi in gioco personalmente.

Prendiamo il caso della Siria, una tragedia infinita che si consuma nell’indifferenza delle cancellerie occidentali e dell’opinione pubblica internazionale. Raccontarla andando sul posto non è facile, come dimostra l’alto tributo di sangue già pagato dai giornalisti e dagli operatori dell’informazione che in questi due anni hanno provato a farlo. E poi c’è il rischio dell’effetto-assuefazione, che consiglia di non esagerare con le notizie, le foto o le immagini dai fronti di guerra per non turbare troppo i sensi e le coscienze delle famigliole riunite per cena nel tinello di casa. Tutto vero. Forse, però, l’indifferenza è figlia anche della nostra incapacità di raccontare la tragedia siriana, coinvolgendo di più e meglio il nostro pubblico, rendendolo cioè partecipe di quella tragedia. Ed è una cosa che si può fare, con le tecnologie che abbiamo a disposizione. Anzi, è una cosa che si deve fare, se si crede nel dovere della testimonianza e nel diritto all’informazione.

Da questa esigenza è nato il progetto “Silenzio, si muore”, primo esperimento RAI (e italiano) di giornalismo partecipativo. Dal al 15 aprile sarò di nuovo in Siria, a decidere questa volta il mio percorso di viaggio, le notizie da seguire e le storie da raccontare, sarà un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena, collegati costantemente con me via Skype. E’ un gruppo che ha già avuto modo di seguire il lavoro che noi di “La Storia siamo noi” abbiamo fatto nei mesi scorsi ad Aleppo con “Siria 2.0″  e sono ragazzi magnifici, da cui mi farò guidare con piacere, certo che i loro consigli, dubbi ed emozioni possano essermi altrettanto utili di quelli che può darmi un collega o il mio direttore.

Non sarà un video-gioco, attenzione. Sarà un modo per portarli con me, tutti e 20, grazie a una tecnologia che ormai annulla qualsiasi distanza. E sono certo che sarà un modo per raccontare la guerra in maniera diversa e, spero, più coinvolgente. Potranno seguirlo tutti gli internauti, sul sito RAI de La Storia siamo noi, grazie ad un web-doc che costruiremo giorno dopo giorno, io dalla Siria e i ragazzi dall‘Italia.  Maggiori dettagli ve li darò nel prossimo post. Per adesso vi dico solo: accorrete numerosi, perché ne vale la pena.

45 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views