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Pensioni, Corte europea boccia il ricorso di 10mila cittadini italiani contro il decreto Poletti

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha bocciato il ricorso di oltre 10mila pensionati italiani contro il decreto Poletti del 2015 sulla perequazione delle pensioni. I diritti dei pensionati non sono stati violati, secondo i giudici di Strasburgo: “Il governo ha perseguito una causa di pubblica utilità”.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il ricorso presentato da oltre 10mila pensionati contro il decreto Poletti del 2015 sulla perequazione delle pensioni è stato definitivamente respinto dalla Corte europea dei diritti umani. I giudici di Strasburgo considerando inammissibile la richiesta dei 10.059 pensionati riguardante la perequazione partita dal 2012, spiegando che le misure del governo e del legislatore non violano i diritti dei pensionati. In sostanza, la decisione del governo non ha violato i diritti dei pensionati.

La vicenda nasce a inizio anno, quando i pensionati hanno presentato ricorso a Strasburgo contro il decreto sostenendo che quel provvedimento avrebbe prodotto “un’ingerenza immediata sulle loro pensioni per il 2012 e i 2013 e permanente per effetto del blocco sulle rivalutazioni successive”. Il decreto era stato adottato per porre rimedio alla bocciatura da parte della Corte costituzionale di alcuni punti del decreto ‘Salva Italia’ del 2011 con cui si bloccava per il 2012 e il 2013 l’adeguamento automatico all’inflazione delle pensioni con importo mensile di tre volte superiore al minimo Inps (circa 1.450 euro lordi). Così il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva varata un decreto in seguito alla bocciatura della Corte costituzionale, stabilendo una restituzione della rivalutazione non uguale per tutti.

La richiesta di chi ha presentato ricorso parte anche da un altro punto: secondo loro questa misura “non ha perseguito l’interesse generale ed è sproporzionata”. La Corte di Strasburgo ha ritenuto inammissibile il ricorso sostenendo che la riforma del meccanismo di perequazione delle pensioni è stata introdotta per proteggere l’interesse generale e “il livello minimo di prestazioni sociali”, garantendo “allo stesso tempo la tenuta del sistema sociale per le generazioni future”. Tutto ciò è avvenuto, inoltre, in un periodo “in cui la situazione economica italiana era particolarmente difficile”. E in ogni caso per la Corte gli effetti della riforma “non sono a un livello tale da esporli a delle difficoltà di sussistenza incompatibili con quanto prescritto dalla convenzione europea dei diritti umani”.

Il legislatore italiano ha quindi perseguito “una causa di pubblica utilità”, secondo i giudici di Strasburgo. Per la Corte la “misura controversa non sembra aver avuto un impatto significativo per gli anni in questione: per il 2012 l’impatto negativo delle disposizioni, che è nullo per le pensioni inferiori a circa 1.500 euro, sale al 2,7% per le pensioni di oltre 3mila euro; un risultato simile può essere calcolato nel 2013”.

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