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Parità di genere, Fedeli: “Combattiamo il sessismo e gli stereotipi con la grammatica”

Dagli anni Ottanta in linguistica si dibatte dell’uso corretto del genere grammaticale nel linguaggio amministrativo: le parole hanno un riflesso nella società, ed è per questo che il Miur ha deciso di dotarsi di Linee Guida, in cui sono state esplicitate alcune norme che a cui i testi istituzionali devono attenersi.
A cura di Annalisa Cangemi
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Bisogna dire "il ministro" o "la ministra"? Oggi questa domanda non è una questione da poco, tutt'altro. E come la ministra dell'Istruzione uscente Valeria Fedeli ricorda, nella scelta del "maschile" o del "femminile" è racchiusa tutta la differenza che passa tra il rispetto della parità di genere e le discriminazioni. Per questo si è sentito il bisogno di esplicitare delle regole per l'utilizzo corretto del genere grammaticale nel linguaggio amministrativo, attraverso delle Linee Guida, presentate oggi, proprio dal Miur. Perché il linguaggio, come sosteneva già la linguista Alma Sabatini in un lavoro del 1987, ha un importante peso politico e un riflesso sulla società. Lo studio della linguista, "Il sessismo nella lingua italiana", era stato commissionato dalla Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base del programma di governo del Presidente del Consiglio Bettino Craxi. E questa era la denuncia di Sabatini: "La lingua italiana, come molte altre, è basata su un principio androcentrico: l’uomo è il parametro intorno a cui ruota e si organizza l’universo linguistico".

Da allora molti passi avanti sono stati fatti. Ma in cosa consistono oggi queste linee guida? "Il linguaggio è il mezzo con cui possiamo sia confermare gli stereotipi basati sul sesso, sia metterli in discussione – ha detto la Fedeli – Se non cominciamo a dire la direttrice generale o la ministra quando è una donna a svolgere questi incarichi, sarà molto difficile superare il pregiudizio per cui si tratta di incarichi prettamente maschili". Ma queste "norme", precisa, "non hanno nulla dell'imposizione dall'alto, perché richiedono semplicemente di applicare in modo corretto e senza pregiudizi le regole della grammatica italiana". E spiega che il documento sarà diffuso capillarmente negli Uffici, anche tramite la realizzazione di uno specifico progetto formativo da rivolgere all'intera Amministrazione. Entrando nel concreto, una delle premesse del documento è che "non c'è nessuna ragione di tipo linguistico per riservare ai nomi di professione e di ruoli istituzionali un trattamento diverso". 

Le regole grammaticali da applicare

Il primo punto che va affrontato è l'uso dell'articolo che "concorda" per quanto riguarda il genere (e il numero) con il nome al quale si riferisce. E dunque è perfettamente legittimo scrivere la ministra e non la ministro.

Per quanto riguarda il lessico, la lingua italiana contiene termini che indicano professioni declinate al femminile, molto più che in passato. Pertanto risulta corretta la forma un'architetta, una chirurga, così come una sindaca. E poi vengono citati termini con le desinenze in -ora, -iera, come assessora o consigliera, perfettamente accettati dalla grammatica.

Nei testi istituzionali del Miur, che vanno dal decreto all’ordinanza, dalla circolare alle lettere istituzionali, le espressioni contenenti due termini di genere diverso coordinati dalla congiunzione copulativa "e", possono essere abbreviate tramite una barra obliqua, per ragioni di economia grafica: gli alunni e le alunne possono quindi diventare gli/le alunni/e.

Ma normalmente è preferibile l'esplicitazione del genere grammaticale per i termini che si riferiscono a esseri umani. E nel caso ci si riferisca a più persone di sesso diverso deve essere rispettato il principio della simmetria. (Per esempio si avrà: "La professoressa Paola Verdi e il professor Andrea Bianchi sono stati premiati" e non solo "I professori…"). D'altra parte, per alleggerire i testi, è possibile adottare alcune strategie. È possibile ricorrere a termini o perifrasi che includano espressioni prive di referenza di genere (persona, individuo, soggetto), utilizzare nomi collettivi o che si riferiscono al servizio o alla carica (personale dipendente, magistratura, corpo docente), o riformulare le espressioni con pronomi relativi e indefiniti.

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