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Papa in Myanmar: “Il futuro del Paese deve essere la pace, nel rispetto di tutte le etnie”

Il Papa in Myanmar incontra il ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico Aung San Suu Kyii, premio Nobel per la pace. E solleva la questione della minoranza musulmana dei “Rohingya”, perseguitata nel Paese.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il Papa durante il suo viaggio in Myanmar ha parlato di diritti. Ha incontrato il ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico Aung San Suu Kyii, premio Nobel per la pace, durante un colloquio provato durato 23 minuti. "L'arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l'impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani", lo ha detto il Pontefice al termine dell'incontro. Il riferimento è alla comunità musulmana, "Rohingya", parola che non viene pronunciata durante l'incontro ufficiale, ma che rappresenta il nodo fondamentale del processo di pace: "Il futuro del Myanmar deve essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune". Garantire la giustizia, secondo il Papa, equivale a "riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto".

A Bergoglio in particolare sta a cuore il destino della minoranza musulmana che negli ultimi mesi ha subito una dura repressione, con oltre mezzo milione di profughi cacciati dall’esercito oltre il confine col Bangladesh.

La leader birmana allude alla questione parlando della situazione del "Rakhine", riferendosi alla Regione in cui sono avvenute le persecuzioni. Il Consigliere diplomatico ha accolto Bergoglio salutandolo in italiano, e lo incluso esplicitamente tra i "buoni amici", il cui "sostegno allo sforzo di pacificazione" ha un valore "inestimabile". Aung San Suu Kyii risponde alle parole del Papa: "Tra le tante sfide che il nostro governo ha dovuto affrontare, la situazione nel Rakhine ha catturato più fortemente l’attenzione del mondo" – ha detto – "Ogni sfida richiede forza, pazienza e coraggio. La nostra nazione è un ricco arazzo di diversi popoli, lingue e religioni, tessuto su uno sfondo di un vasto potenziale naturale. Lo scopo del nostro governo è di far emergere la bellezza della nostra diversità e di renderla la nostra forza, proteggendo i diritti, promuovendo la tolleranza, garantendo la sicurezza per tutti. Il nostro obiettivo più importante è portare avanti il processo di pace basato sull’Accordo di cessate il fuoco a livello nazionale".

Ma la leader birmana, per una una coincidenza, proprio l'atro ieri si è vista ritirare il riconoscimento che l'Università di Oxford le aveva conferito circa 2 anni fa. L'"accusa" che le è stata mossa è stata quella di aver assistito inerme proprio alla repressione dei militari contro i Rohingya. La "Freedom of the City" le era stata assegnata nel 1997: si tratta della più alta onorificenza a disposizione del Municipio della storica città universitaria inglese. La revoca rappresenta un caso più unico che raro, ma è stata approvata proprio ieri sera all'unanimità dal consiglio comunale. "Nel '97 – si legge nella motivazione – Aung San Suu Kyi incarnava i valori di tolleranza e internazionalismo espressi da Oxford. Oggi abbiamo preso la decisione senza precedenti di ritirarle la più grande distinzione concessa da questa città a causa della sua inazione di fronte all'oppressione della minoranza Rohingya".

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