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Omicidi di Roberta Ragusa ed Elena Ceste, ecco perché questi due casi stanno cambiando la giurisprudenza

Due sentenze con rito abbreviato hanno condannato i mariti di Roberta Ragusa e Elena Ceste, rispettivamente a 20 e 30 anni di carcere per omicidio e occultamento di cadavere. L’avvocato Antonio La Scala, presidente di Penelope Scomparsi, parte civile in entrambi i casi, ci ha spiegato perché, al netto delle differenze, queste due sentenze faranno giurisprudenza.
A cura di Angela Marino
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Ieri la corte di Cassazione ha deciso le sorti di Michele Buoninconti, qualche giorno prima quella a carico di Antonio Logli per l'omicidio Ragusa. 

Due grandi vittorie della giustizia, due sentenza esemplari per i casi di femminicidio. Soprattutto quella a carico del Logli.

Perché sarebbe esemplare?

Perché nella storia della giurisprudenza italiana, in assenza del corpo, l'imputato veniva assolto o al massimo condannato a vent'anni. Oggi, come dimostra il caso Ragusa, le condanne a 30 anni e vent'anni o addirittura all'ergastolo stanno fioccando.

I femminicidi toccano profondamente l'opinione pubblica e spesso i familiari delle vittime lamentano condanne non abbastanza dure.

Antonio La Scala
Antonio La Scala

Quello che l'opinione pubblica non sa e che fuori dal contesto mafioso una condanna a all'ergastolo, per un incensurato, equivale a 22 anni e mezzo. Al di là del parolone ‘ergastolo', il carcere a vita equivale comunque a una ventina d'anni. Ecco perché le sentenze emesse sono invece più che eque, quasi rivoluzionarie.

Nel caso Ceste invece il corpo della povera Elena è stato ritrovato, è stato questo a determinare la condanna a 30 anni? 

Ha influito poter effettuare perizie sul corpo e valutazioni sul luogo e lo stato del ritrovamento. Insomma, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici hanno ritenuto che Elena fosse stata gettata già morta nel Rio Mersa. Ma a pesare sulla sentenza di trent'anni è stato altro.

Cosa?

La premeditazione: la corte ha ritenuto che Michele Buoninconti avesse organizzato l'omicidio della moglie.

Non nel caso Ragusa, invece. 

No, si è trattato di un dolo d'impeto.

L'opinione pubblica si è chiesta come mai, dopo la sentenza d'appello, per il marito di Roberta non sia scattato l'arresto. 

È stato confermato il provvedimento vigente dall'incriminazione, l'obbligo di firma nel comune di domicilio. Non c'erano motivi (reiterazione del reato e inquinamento delle prove, nda) per disporre diversamente e inoltre, se fosse scattato anche solo un provvedimento di arresti domiciliari, il tempo trascorso con questo regime restrittivo sarebbe stato sottratto dal totale della condanna, una volta divenuta definitiva. Invece in questo modo i vent'anni resteranno venti.

Penelope ha seguito entrambi i casi come parte civile, qual è il prossimo caso in cui siete coinvolti, che aspetta giustizia?

L'omicidio di Emanuela Teverini, dove, tuttavia, non siamo parte civile ma stiamo seguendo con i nostri legali.

Anche in questo caso manca il corpo.

Sì, il cadavere non c'è, quello che c'è, invece, è una confessione del marito che purtroppo non si è potuto acquisire.

Ci parla di questa confessione?

Il marito, Costante Alessandri, ha rivelato alla prostituta con cui si vedeva tutte le sere di aver ucciso e sepolto sua moglie.

Perché non è stata usata?

Perché acquisita attraverso una registrazione audio richiesta dagli investigatori alla signora, che era solo una testimone.

Sta dicendo che se la confessione fosse stata raccolta in altro modo, magari tramite intercettazione, Alessandri sarebbe in carcere?

Esatto. Il caso è stato archiviato perché la prova regina era stata captata abusivamente.

Ma Alessandri non è stato assolto. 

Infatti, la verità sulla morte di Emanuela sarà la prossima vittoria contro il femminicidio.

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