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Opinioni

Nuovi media: c’è un lato oscuro?

Il ruolo dei social media e dei nuovi strumenti di comunicazione nello sviluppo dei movimenti politici e culturali necessita di un’analisi approfondita. E se è vero che il 2011 è stato l’anno dei movimenti, è altrettanto corretto dire che è “internet” il comune denominatore che unisce la Primavera araba a Wall street, gli indignados alle manifestazioni in Russia.
A cura di Enrico De Angelis
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Foto di Ibtihel Zaatouri dal terzo Arab Bloggers Meeting

“Facebook è stato fondamentale nel cambiare l’atmosfera. In un regime autoritario come quello di Ben Ali, sei isolato. Non sai mai la persona vicino a te cosa pensa veramente. Non si parla mai di politica. L’altro è quasi sempre un estraneo di cui non ti puoi fidare. Si tratta di una società atomizzata. Internet ha contribuito a cambiare questo. Improvvisamente scopri che decine, centinaia di persone là fuori la pensano come te. Non ti senti più solo. A un certo punto metti un video su Facebook e scopri che centinaia di persone lo condividono. È così che è caduto il muro della paura e i piccoli muri tra una persona e l’altra”. Così un blogger tunisino, Sofjen bel Haj, racconta l’inizio della sua attività politica sul web e del ruolo di internet nella caduta di Ben Ali. Nel 2010, in Egitto, Wael Ghonim, insieme ad altri attivisti, crea il gruppo “Siamo tutti Khaled Said” su Facebook. Khaled Said era un giovane egiziano morto il 6 giugno del 2010 dopo essere stato arrestato dalla polizia in un bar nei dintorni di Alessandria. Le foto del suo corpo martoriato circolano in rete, provocando una reazione enorme. Il gruppo raccoglie rapidamente centinaia di migliaia di persone (oggi, con quasi due milioni di membri, è la pagina politica più seguita su Facebook in Egitto). È da questa piattaforma che viene invocata la manifestazione a Tahrir del 25 gennaio 2011.

Il ruolo di facebook e twitter – Sul ruolo di social media come Facebook e Twitter nel determinare la caduta di regimi autoritari si è parlato tantissimo durante quest’anno. E anche prima, per la verità. I nuovi media, si è detto, abbattono i muri della censura e della paura. Permettono di organizzare azioni collettive a un costo bassissimo. Permettono di dare visibilità a ciò che prima era invisibile. Scardinano le gerarchie politiche e dell’informazione. Alcuni argomenti sono quelli che erano già emersi con l’arrivo dei media satellitari. Nell’era della CNN, si diceva, un’altra Shoa sarebbe impossibile, perché il mondo saprebbe prima e interverrebbe. Poi è arrivato il genocidio del Rwanda, con gli Hutu che massacravano centinaia di migliaia di Hutu mentre tutti erano occupati a guardare la vittoria di Mandela in Sud Africa e la fine dell’Apartheid. Ma altri sostengono che i nuovi media, dagli smart phones ai social network, dalle camere digitali a Google, introducono dinamiche completamente inedite nei rapporti tra le persone e tra queste ultime e la politica. Il 2011 è stato senza dubbio l’anno dei movimenti, paragonato al 1848, e molti vedono in questa rinascita di attivismo lo zampino delle nuove tecnologie. Sarebbe internet il comune denominatore che unisce la Primavera araba a Wall Street, gli indignados spagnoli alle manifestazioni in Russia. Sul fatto che i nuovi media stiano cambiando la nostra vita da molti punti di vista non c’è alcun dubbio. Meno chiaro, invece, è se queste trasformazioni siano però solo positive. A questo proposito si possono fare due esempi, apparentemente lontani tra di loro ma che fanno emergere un’unica verità.

Il "caso Hamza Kashgari" – Il primo è la storia di Hamza Kashgari, un giornalista della testata saudita al-Balad. Hamza abita a Jedda, in Arabia Saudita, e ha solo 23 anni. Poco più di una settimana fa ha pubblicato un tweet sul profeta Maometto, in occasione del Mulid: il Natale musulmano. Ha scritto, rivolto allo stesso Maometto: “ho amato delle cose di te e ho odiato delle cose di te. E di te ci sono molte cose che non capisco. Non pregherò più per te”. Immediatamente il tweet ha provocato una reazione durissima da parte di alcuni dei suoi compatrioti. Più di 30.000 tweets hanno commentato le dichiarazioni di Hamza, tra di essi molte minacce di morte. Su Facebook è stato creato un gruppo che dopo pochi giorni contava già oltre 13.000 iscritti e il cui nome parla chiaro: “il popolo saudita domanda l’esecuzione di Hamza Kashgari”. Il giornalista è ora scappato in Malesia, dove con molta probabilità le autorità decideranno di estradarlo in Arabia Saudita.

La rivolta di Londra – Secondo esempio: 7 agosto 2011. Siamo a Londra. Il giorno prima sono scoppiati i disordini in seguito all’uccisione di un ragazzo da parte della polizia. Un messaggio comincia a circolare tramite BBM, il servizio chat del Blackberry: “Tutti, in Edmonton, in Enfield, a Woodgreen: riunitevi alla stazione di Enfield alle 4”. E il messaggio continua: “riunitevi e distruggete, rubate ogni cosa. La polizia non vi può fermare”.  È così è stato. Il BB è stato usato in modo estensivo nelle proteste della scorsa estate in Gran Bretagna. Rispetto a Twitter o Facebook, il BB ha un vantaggio: fa parte di una rete privata che non può essere controllata dalla polizia. Soprattutto, in Inghilterra sono centinaia di migliaia i giovani che possiedono un Blackberry. Il problema è che il BB non è usato solo dai manifestanti, ma anche per coordinare bande di ragazzi allo scopo di depredare e distruggere centri commerciali e negozi. “Flash mob” del crimine, difficilissimi da localizzare e fermare: appaiono all’improvviso, svaligiano un negozio, e poi spariscono nel nulla. Mike Butcher, un celebre blogger inglese e direttore di Telecrunch Europe, ha rilasciato un’intervista alla BBC in cui ha affermato: “I teppisti hanno trovato la propria stampa di Gutemberg”.

La potenza dei nuovi strumenti –  Questi due esempi fanno comprendere una prima importante verità sui nuovi media: questi strumenti sono usati da chiunque, non solo da chi vuole utilizzarli per favorire i processi democratici o per abbattere regimi autoritari e sanguinari. In un recente articolo sul giornale egiziano al-Masry al-Yaum, si domandava a una serie di blogger egiziani se le comunità di Twitter fossero troppo distaccate dalla società e costituissero un mondo a parte. La risposta generale è stata negativa: chiunque può usare Twitter e dunque la società può esservi rappresentata in tutte le sue espressioni. Bill Wasik si Wired parla a questo proposito dell’emersione di mega-underground: grandi quantità di persone che condividono un’idea, una passione, o qualunque altra cosa, e che tuttavia pensano di essere soli e non si esprimono a livello collettivo. Sono mega ma restano degli underground. I nuovi media sono uno strumento potente per fargli capire quante persone come loro ci siano in realtà e soprattutto servono a metterli in contatto tra di loro. Il problema è che questo non vale solo per i dissidenti tunisini o egiziani, ma anche per estremisti religiosi o per delinquenti comuni.

Foto di Ibtihel Zaatouri dal terzo Arab Bloggers Meeting

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Enrico De Angelis è un ricercatore di comunicazione politica internazionale. Si occupa da anni di media (vecchi e nuovi) nel mondo arabo. Attualmente vive al Cairo, Egitto.
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