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Non indignatevi per Lino Banfi all’Unesco, dovevate farlo quando Renzi giocava alla PlayStation

Inutile indignarsi per Lino Banfi rappresentante del governo italiano all’Unesco. La deriva è iniziata con i leader della sinistra che si lasciavano fotografare alla PlayStation e mettevano in disparte i migliori intellettuali chiamandoli “gufi”, sancendo il primato della comunicazione sulla politica.
A cura di Redazione Cultura
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Lino Banfi mi sta simpatico, anche se devo ammettere di non conoscerlo bene. Ai tempi in cui i suoi film imperversavano tra i miei coetanei, al contrario io, da buon secchione, preferivo starmene sui libri, guardare altro genere di film e soprattutto mi tenevo alla larga da tutti quei film della commedia all'italiana che erano il segno di un Paese da cui prendere le distanze. Non era snobismo, almeno credo. Anche perché, all'epoca, eravamo abituati a nutrirci quotidianamente di poderose dosi di pane e televisione commerciale, però insomma quei filmetti lì proprio no. Al limite solo di nascosto dai genitori, e certamente più per la presenza di più avvenenti attrici che per la pelata del buon Pasquale Zagaria. Poi nel tempo Lino Banfi si è trasformato e, raggiunta la pace dei sensi, è diventato di colpo, da espressione meridionale del satiro divertente, un nonno e come tale un attore rispettabile. Peraltro un bravo attore, con mille aneddoti sui grandi dello spettacolo da raccontare.

Oggi diventa uno dei rappresentati dell'Italia alla commissione Unesco, in quota Ministero del Lavoro, al posto del compianto Folco Quilici. Un ruolo di rappresentanza, dunque, presso quell'organismo delle Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, in quota del Paese con più siti riconosciuti degni di tutela al mondo, ben quarantanove. Non una cosa da niente. Così la notizia ha scatenato una ridda di polemiche politiche, social, offuscando persino la presentazione del reddito di cittadinanza che, comunque la si pensi a riguardo, rappresenterà una novità enorme nel panorama sociale ed economico del Paese.

Polemiche perlopiù speciose, a mio avviso. A parte la sana dose di ironia – che non è mai sbagliato far mancare – la maggioranza delle piccate e indignatissime reazioni si è manifestata contro il fatto che Lino Banfi – per il suo curriculum, per essere stato l'attore di tanti brutti film – non sarebbe adeguato per quel ruolo. Perché la sta stessa nomina sarebbe (e lo è) l'ennesima bordata ideologica contro la cultura e in favore di quella leggenda priva di ogni fondamento per cui "uno vale uno", mentre a volte bisognerebbe solo accettare il fatto che alcuni sono più bravi e per questo spesso occupano ruoli importanti.

Eppure, come al solito, al popolo degli indignati c'è qualche passaggio che bisognerebbe ricordare sul perché e sul come siamo arrivati fin qui. Soprattutto gli va ricordato che sì, probabilmente non è il massimo nominare Lino Banfi alla commissione Unesco (peraltro scoprendo in questo modo anche quali sono i riferimenti culturali degli attuali governanti), ma bisogna anche chiedersi quanto sia stato il massimo nominare e difendere ministri, ad esempio, anche nel recente passato, che non solo di laurea non ne avevano nemmeno una, ma di cui in alcuni casi persino il diploma è stato oggetto di discussione. Le polemiche (anche lì, a volte molto fastidiose) su Valeria Fedeli, ex ministro all'Istruzione, e Beatrice Lorenzin, ex ministro della Salute, ne sono state un esempio.

Tutto questo per dire che – al di là del titolo di studio, che potrebbe pure non contare nulla in presenza di comprovate capacità politiche e amministrative – la lotta anti-intellettualistica per cui oggi piangiamo copiose lacrime di coccodrillo è iniziata molto tempo fa, ben prima di Lino Banfi e Luigi Di Maio, ai tempi in cui tra le pieghe della stessa sinistra si annidavano i germi del qualunquismo, dei politici a lavoro mentre giocavano alla PlayStation, di coloro che si erano formati a "La ruota della fortuna" di Mike Bongiorno e non con altri e ben più pregnanti percorsi culturali. A traghettare il primato della comunicazione sulla politica nel ventunesimo secolo e a fornirgli l'armamentario che oggi ci fa disperare non è stato Silvio Berlusconi, ma più probabilmente Matteo Renzi con il suo cerchio magico alla Happy Days. Con le élite che hanno smesso di essere credibili, dimostrando di non meritare quei privilegi rispetto all'uomo qualunque, in cambio del fatto che esprimevano meglio dell'uomo qualunque capacità di indirizzo e di scelta, è iniziato l'arrivo di Lino Banfi all'Unesco.

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