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Niente di nuovo sul fronte occidentale: 90 anni fa Erich Remarque pubblicava il suo capolavoro

Ferito a Verdun nel 1917, Erich Maria Remarque pubblicò il suo capolavoro a distanza di dodici anni: in “Niente di nuovo sul fronte occidentale” lo scrittore tedesco riversa tutta la disperazione di una generazione decimata dalla guerra, formulando un’accusa senza possibilità di assoluzione. Sono trascorsi 90 anni dalla pubblicazione di questo romanzo: il primo che raccontò cosa era stata davvero la vita, e la morte, in trincea.
A cura di Federica D'Alfonso
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Una scena tratta dal film del 1930 "Niente di nuovo sul fronte occidentale", ispirato all'omonimo romanzo di Erich Maria Remarque.
Una scena tratta dal film del 1930 "Niente di nuovo sul fronte occidentale", ispirato all'omonimo romanzo di Erich Maria Remarque.

Né un atto di accusa né una confessione. Solo “il tentativo di raccontare una generazione che, anche se sfuggì alle granate, venne distrutta dalla guerra”: con queste parole Erich Maria Remarque apre il suo romanzo più famoso, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Esplicitamente negata, l’accusa dello scrittore tedesco appare però ancora più forte e violenta: perché senza assoluzione. Novant'anni fa usciva il libro che per primo denunciò gli orrori della guerra, ma per molti anni a venire il suo messaggio rimarrà inascoltato.

La Prima Guerra mondiale: la tragedia di una generazione

Locandina del film premio Oscar "Niente di nuovo sul fronte occidentale", tratto dal romanzo di Remarque.
Locandina del film premio Oscar "Niente di nuovo sul fronte occidentale", tratto dal romanzo di Remarque.

Patriottismo, onore e orgoglio: Paul, Albert, Müller e Tjaden si arruolano volontari, all’indomani dello scoppio del primo conflitto mondiale, convinti che il fronte rappresenti una conferma audace di quei valori che la società aveva proiettato sulla Guerra. Ma ben presto il senso di quella scelta si palesa in tutta la sua cruda atrocità: siamo già in trincea quando il romanzo si apre, il cuoco offre razioni doppie di cibo a chiunque le chieda, e i soldati sono “sazi e soddisfatti” per l’inaspettata porzione di pane e salsiccia. Scopriremo solo dopo il motivo di tanta abbondanza: lo squadrone è stato decimato, pochissimi i sopravvissuti.

I giovanissimi soldati si ritrovano ben presto a dimenticare il sogno eroico di una guerra onorata, e fanno i conti con l’amara gratitudine di riuscire, ora dopo ora, ad arrivare vivi al pasto successivo. Topi e malattie infestano le trincee, e quell'idea gloriosa che aveva spinto le loro vite verso la morte sbiadisce, rimpiazzata solo dal momentaneo istinto di sopravvivenza e cameratismo che s’instaura fra loro: ma anche questo sentimento si esaurirà, dopo la morte dei compagni più vicini.

Compagno, io non ti volevo uccidere. (…) Soltanto ora vedo che sei un essere umano come me. Prima ho pensato alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci accomuna. Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri diavoli al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore davanti alla morte, e la stessa morte e lo stesso patire… (…) Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e risorgi; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare.

L’esperienza autobiografica di Remarque

Lo scrittore tedesco Erich Maria Remarque.
Lo scrittore tedesco Erich Maria Remarque.

Erich Maria Remarque pubblica il capolavoro che segna il suo esordio letterario nel 1929. Dodici anni prima, nel 1917, lo scrittore era rimasto ferito a Verdun: viene rimpatriato in Germania, dove resterà in ospedale per oltre un anno. L’opera è un chiarissimo riferimento alla sua esperienza del fronte vissuta, come lo stesso protagonista del libro, a diciannove anni: soltanto chi aveva visto in faccia cosa la Prima Guerra aveva rappresentato per migliaia di giovani, avrebbe potuto comprenderne da subito la portata tragica ed atroce.

“Siamo dei morti spietati che per una sorta di trucco, di pericoloso sortilegio, sono ancora in grado di muoversi e uccidere”, afferma Paul Bäumer, giovane aspirante scrittore arruolato volontario al fronte e voce narrante degli eventi del romanzo. Uno come tanti altri, che muore come tanti altri: un giorno qualunque, tranquillo, con “niente di nuovo sul fronte occidentale”. La storia di Remarque ebbe fin da subito un’eco enorme, dando spunto anche per un film vincitore dell’Oscar nel 1930.

“Niente di nuovo sul fronte occidentale”: la morte di Paul

Un'altra scena tratta dal film del 1930.
Un'altra scena tratta dal film del 1930.

Lo scrittore non si accontenta di rintracciare nel genere umano corrotto la colpa di una tragedia come quella della guerra, ma nelle sue pagine inserisce dure riflessioni contro l’imperialismo e le politiche nazionaliste che, inesorabilmente, colpiscono sempre i ceti più umili. Emblematica è la conversazione fra Tjaden e Albert, due compagni di Paul arruolati volontari anch'essi: alla domanda del primo, su come scoppi una guerra, il secondo risponde ingenuamente, “generalmente è perché un Paese ha fatto una grave offesa a un altro”.

Ma Tjaden insiste coriaceo: «Un Paese? Non capisco. Una montagna tedesca non può offendere una montagna francese: né un fiume, né un bosco né un campo di grano». «Sei bestia davvero o ci prendi in giro?» brontola Kropp. «Non ho mai detto niente di simile. È un popolo che offende un altro…». «Allora non ho niente a che fare qui; io non mi sento affatto offeso» replica Tjaden. «Ma mettiti bene in zucca» gli fa Albert stizzito, «che tu sei un povero diavolo, uno zotico e non conti nulla».

Nessuno dei ragazzi che all'inizio del libro confidano in una vita migliore una volta conclusa la guerra, tornerà a casa. Il crudo realismo di Remarque non lascia scampo: perfino Paul morirà, e a darcene notizia sarà una breve nota a margine, tagliente come una lama. Poco prima, le ultime riflessioni del protagoniste erano state di vuota speranza e ostinata resa alla vita: “Sono tranquillissimo. Vengano i mesi e gli anni, non mi prenderanno più nulla, non possono prendermi più nulla”.

Egli cadde nell'ottobre 1918, in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: "Niente di nuovo sul fronte occidentale". Era caduto con la testa in avanti e giaceva sulla terra, come se dormisse. Quando lo voltarono si vide che non doveva aver sofferto a lungo: il suo volto aveva un'espressione così serena, quasi fosse contento che la fine fosse giunta a quel modo.

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