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“Se mi pento, uccidi mia sorella”: il patto di sangue tra i due boss di Ponticelli

I boss del clan Minichini-Schisa di Napoli Est avrebbero stretto un patto di sangue: se uno di loro si fosse pentito, l’altro gli avrebbe ucciso la sorella.
A cura di Nico Falco
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Immagine di repertorio
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Se uno dei due avesse iniziato a collaborare con la giustizia, l'altro gli avrebbe fatto ammazzare la sorella. Sarebbero stati questi i termini del "patto di sangue" stretto tra Tommaso Schisa e Michele Minichini, entrambi ai vertici della camorra di Napoli Est. Una vendetta trasversale che sarebbe stata concordata per mettere entrambe le cosche, alleate, al riparo da eventuali pentimenti che si sarebbero tradotti in pioggia di manette e anni di carcere.

Il patto tra boss: "Se mi pento, uccidi mia sorella"

La circostanza è stata raccontata da Tommaso Schisa, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, e ripresa nell'ordinanza del blitz di questa notte contro i clan De Luca Bossa, Minichini, Schisa e le altre famiglie dell'universo malavitoso di Ponticelli, Barra, San Giovanni a Teduccio, con ramificazioni anche nel centro di Napoli e nella provincia. Il patto risalirebbe al 2015, quando nacque il sodalizio Minichini-Schisa in contrapposizione al clan De Micco.

"Nel discutere dei pentiti dei Sarno – dice Schisa – io e Minichini Michele abbiamo fatto un patto. I termini erano questi: se mi fossi pentito io, egli avrebbe ucciso mia sorella; se si fosse pentito io, io gli avrei ucciso la sorella. Se non ricordo male eravamo a casa di mia madre e non c'erano persone presenti al discorso".

Bombe e intimidazioni contro i pentiti a Napoli Est

Gli inquirenti, nella stessa ordinanza, ricostruiscono altri episodi di intimidazioni ai danni dei pentiti. Alcuni proprio contro Tommaso Schisa: secondo le indagini la moglie fu minacciata, costretta a lasciare l'abitazione e obbligata ad andare a colloquio col marito detenuto per convincerlo a ritrattare le sue dichiarazioni.

Un ordigno era invece stato fatto esplodere sotto l'abitazione di Umberto D'Amico, nipote del boss Salvatore "‘o Pirata": quando Gabriella Ostinato lo riferisce a Michele Minichini durante un colloquio in carcere, l'uomo si mostra "piacevolmente colpito nell'apprendere la notizia".

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