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Il boss dei Quartieri Spagnoli chiuso in casa da 20 anni: condannato a morte dai Licciardi

Il clan Licciardi avrebbe condannato a morte il boss Antonio Esposito perché ritenuto responsabile dell’omicidio del figlio di un proprio affiliato di vertice.
A cura di Nico Falco
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Per la legge non era stato lui ad uccidere il 18enne Ciro Esposito, figlio di Renato, boss del clan Licciardi: processato, era stato assolto e la sentenza era diventata definitiva. Il gruppo della Masseria Cardone, però, la pensava diversamente e aveva posto sulla sua testa una condanna a morte. Per questo motivo Antonio Esposito (solo stesso cognome della vittima) viveva una vita praticamente da recluso, segregato nella sua abitazione dei Quartieri Spagnoli da oltre 20 anni.

La circostanza emerge dall'ordinanza che ha portato alla misura cautelare per 53 indagati eseguita oggi da Polizia e Carabinieri contro il cartello Saltalamacchia-Esposito-Masiello dei Quartieri Spagnoli e contro il gruppo che sarebbe riconducibile a Carmine Frigerio detto ‘o Pop, indicato dagli inquirenti come responsabile della piazza di spaccio della "Sposa", la più fruttuosa del quartiere del centro di Napoli.

Nelle dinamiche di camorra per il controllo degli stupefacenti rientrerebbe anche l'omicidio di Ciro Caiafa, padre del baby rapinatore Luigi (ucciso da un poliziotto mentre tentava una rapina), che sarebbe stato ammazzato perché avrebbe venduto droga ai Quartieri Spagnoli senza permesso del clan.

Boss chiuso in casa per paura della vendetta dei Licciardi

Nell'ordinanza si rileva che, durante i controlli ai Quartieri Spagnoli, Antonio Esposito è stato fermato raramente. Il motivo sarebbe proprio nella sua scelta di restare chiuso in casa, dove, scrivono gli inquirenti, "si è rintanato dopo l'omicidio di Esposito Ciro, figlio di Renato Esposito, noto boss della famiglia Licciardi, avvenuto in data 28-7-2001 in piazza Trieste e Trento di Napoli".

Per quell'omicidio erano finiti sotto processo Antonio Esposito ed Eduardo Saltalamacchia, assolti dalla Corte di Assise di Napoli il 4 giugno 2003 per non avere commesso il fatto (sentenza confermata dalla Corte di Assie di Appello il 20 dicembre 2012). Nonostante l'assoluzione, però, il clan Licciardi avrebbe deciso di vendicarsi.

Gli inquirenti citano anche la testimonianza dell'ex boss e collaboratore di giustizia Marco Mariano, che aveva dichiarato di essere stato avvicinato da elementi del clan Licciardi che volevano uccidere Antonio Esposito; lui avrebbe però negato il permesso in quanto l'uomo era considerato un elemento fondamentale del clan.

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