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La storia di Gerardo D’Arminio, carabiniere ucciso dalla camorra ad Afragola davanti al figlio piccolo

Il maresciallo D’Arminio è stato ucciso la sera della vigilia dell’Epifania del 1976: indagava sui legami tra mafia, camorra e ‘ndrangheta per il narcotraffico.
A cura di Nico Falco
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Quella sera del 5 gennaio 1976 il maresciallo dei carabinieri Gerardo D'Arminio sta tornando a casa, stringe nella mano quella del figlio Carmine, di quattro anni. Vigilia dell'Epifania, è appena uscito da un negozio di giocattoli di Afragola, ha comprato al bimbo una bicicletta. È una delle sue passioni, dopo la famiglia e l'investigazione, che l'aveva portato, ad appena 38 anni, a inanellare una serie di successi con la divisa dell'Arma.

L'agguato al maresciallo D'Arminio ad Afragola

Quella sera, però, le cose vanno diversamente. In modo inaspettato. Sono circa le 21:30, il maresciallo si è fermato a parlare con Luigi Giugliano, fratello di un boss ucciso tre anni prima, quando in piazza Gianturco, nel centro della cittadina del Napoletano, arriva una Fiat 500 gialla. Subito dopo, una scarica di pallettoni. Sette, otto colpi di lupara, che centrano il carabiniere tra collo e spalla. È il panico. D'Arminio viene caricato in un'automobile da alcuni passanti e portato al Loreto Mare, dove arriva già morto. I familiari apprendono di quell'agguato dalla televisione.

Le indagini dopo l'omicidio in piazza a colpi di lupara

Sono in tanti, a quel tempo, quelli che potrebbero avercela con D'Arminio. Nato a Montecorvino Rovella (Salerno) il 12 dicembre del 1937, il maresciallo aveva lavorato a Chieti, a Isernia, poi era stato trasferito in diversi comuni siciliani e infine a Palermo. Lì si era particolarmente distinto: nel 1963 aveva stretto le manette ai polsi del boss mafioso Michele Cavataio, dopo essersi calato nella botola che portava al suo nascondiglio.

Nel 1966 era approdato al Nucleo Investigativo, da poco creato, e aveva continuato le sue indagini sulla mafia siciliana. Nel 1970 si era spostato in Campania, prima a dirigere la stazione di San Giovanni a Teduccio e poi la squadra antidroga del Nucleo Investigativo. In quel nuovo ruolo aveva ricostruito le rotte del narcotraffico tra il sud America e l'Italia e i canali coi quali l'eroina arrivava a Milano, passando per Francoforte. Nel 1974 era stato trasferito alla stazione di Afragola, incarico che avrebbe ricoperto fino al luglio del 1975.

Ad Afragola D'Arminio aveva deciso di stabilirsi in un appartamento del corso Garibaldi, a pochi passi dalla piazza principale, con la famiglia: la moglie Anna e i tre figli, Giuseppina, Annalina, Carmine e Marco. Era rimasto nella cittadina del Napoletano anche quando era stato nuovamente trasferito: quella sera della vigilia dell'Epifania era già tornato da sei mesi al Nucleo Investigativo.

L'arresto del rampollo del clan Moccia

Dopo l'omicidio le indagini partono frenetiche. L'ordine di uccidere il maresciallo potrebbe essere partito da Afragola (D'Arminio aveva anche arrestato il capoclan Gennaro Moccia per detenzione di armi), ma anche dalla Sicilia. La cittadina del Napoletano viene setacciata palmo a palmo e all'alba successiva salta fuori l'automobile con ancora il fucile dentro.

È intestata ad Antonio Moccia, fratello del capoclan. Le indagini si concentrano sui tre nipoti, figli del boss e di Anna Mazza, e alla fine il più piccolo, Vincenzo, 16 anni, confessa. Dice, però, che mirava all'altro uomo, di non essersi accorto della presenza del carabiniere. Verrà condannato a 11 anni di carcere e verrà ucciso in un agguato nel novembre 1987, poco dopo la scarcerazione.

La pista della mafia dietro l'omicidio di D'Arminio

Poco dopo l'omicidio di D'Arminio, nell'aprile 1976, viene assassinato anche il capoclan Gennaro Moccia: sarebbe stata la risposta all'agguato mancato, secondo la tesi che vorrebbe il maresciallo ucciso per sbaglio. Su quella pagina nera ci sono però altre versioni. Come quella del presidio Libera AfragolaCasoria, intitolato proprio al maresciallo, che nel 2021 ha consegnato nuovi elementi agli inquirenti e sostiene che l'ordine di uccidere sarebbe partito dalla Sicilia dove D'Arminio, insieme a quattro colleghi (tutti poi uccisi in servizio) aveva seguito le indagini per arrivare a Bernardo Provenzano e Totò Riina.

Secondo questa versione l'agguato in piazza Gianturco sarebbe stato commissionato per fermare le indagini sui traffici di droga che vedevano alleati la camorra, la mafia e la ‘ndrangheta. E anche sull'esecutore sono stati sollevati dubbi: per Pasquale Scotti, braccio destro di Raffaele Cutolo arrestato in Brasile dopo 31 anni di latitanza, Vincenzo Moccia si sarebbe addossato la colpa perché in quanto minorenne avrebbe avuto una pena più lieve, ma a sparare sarebbe stato uno dei fratelli.

Ad Afragola il busto per il maresciallo ucciso dalla camorra

Nel luogo in cui è stato ammazzato il maresciallo D'Armonio è stato deposto un busto in bronzo. Ogni anno in piazza Gianturco viene celebrata una cerimonia di commemorazione, con deposizione di una corona di fiori e Santa Messa, per ricordare il carabiniere, insignito della medaglia d'argento al valor militare, ucciso dalla camorra davanti al figlio alla vigilia dell'Epifania.

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