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Opinioni

Perché il monologo di Geolier sui napoletani è ambiguo e intriso di retorica

Il discorso in dialetto del rapper Geolier su Napoli e i napoletani trasmesso alle “Iene” è inaccettabile per chi ha una certa visione di questa città.
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Molto chiaramente: ho trovato il monologo di Geolier sui napoletani durante la recente puntata della trasmissione "Le Iene" retorico al limite del patetico.

Sono napoletano al pari di Emanuele Palumbo, classe 2000, uno dei rapper più in vista della scena napoletana, coccolatissimo dalle major discografiche e dai suoi manager.

Sono napoletano e non mi riconosco in mezza parola di ciò che questo ragazzo ha detto sull'esser nato in questa città.

All'artista Geolier tanto di cappello, lo trovo intenso, potente, con una grande  forza espressiva, gli auguro una lunga carriera, ma sulle parole forse è meglio ragionare.
Perché sono importanti e non possono scivolar via tra una condivisione su TikTok e un like su Instagram.

«Per tante persone è difficile vedere un napoletano e Napoli vincere», esordisce Geolier in questi due minuti di nulla ben apparecchiato.

Di partenopei «vincenti» (come li definiresti tu, Geolier) ce ne sono a bizzeffe. Da secoli.  Ce ne sono sempre stati, so' centinaia di anni che ce ne sono. Ti evito l'elenco, pare brutto (trovavi qualche napoletano vincente pure se ti guardavi intorno, negli studi de Le Iene).

Continua il discorsetto del rapper napoletano:

Che significa "vincere"? Per me vincere è fare un monologo che vede tutta Italia, nella lingua di Basile e di Eduardo, di Totò e di Pino Daniele. E sì, pure di Geolier.

Da sempre Napoli è presente con la sua lingua nei libri, in tv, nel cinema: le migliori serie o film degli ultimi anni parlano la nostra lingua. E nessuno contesta il fatto che la lingua di Geolier sia diretta discendenza di quella del teatro e della musica classica e moderna all'ombra del Vesuvio.

Emanuele in arte Geolier è sveglio: parlando del dialetto si sistema sullo stesso piano di Eduardo, di Totò, Pino Daniele e pure di Giambattista Basile (per chi non lo sapesse è un autore del Seicento, due opere fra tutte: "Lo cunto de li cunti" e "La gatta Cenerentola").

Ma mettiamo da parte Basile che viveva in un altro mondo.

Geolier scorda una cosa: il drammaturgo napoletano più rappresentato al mondo (Eduardo) il Pulcinella del Novecento (Troisi) il musicista popolare e raffinato come Pino Daniele facevano della loro arte anche un modo per ribadire dei temi in maniera forte.

Io in Geolier, ad esempio, non vedo nessuna chiara condanna, nessuna distanza, del mondo che descrive magistralmente e che immagino abbia vissuto fin da piccolo.

Sto parlando di quella area Nord di Napoli dilaniata dalle faide di camorra, le guerre tra clan, i nomi che fino a qualche anno fa facevano tremare migliaia di persone: Di Lauro, Marino, McKay, e così via.

Eduardo è quello (fra le centinaia di cose) del "Sindaco del rione Sanità"; Pino Daniele cantava negli anni Ottanta, quelli delle guerra di camorra fra Cutoliani e Nuova Famiglia «Ma voglio di più / Di quello che vedi / Voglio di più / Di questi anni amari».

Il rapper Geolier li tira in ballo. Ma come si colloca rispetto alla Napoli dei suoi tempi? Non basta fare una copertina di album con i bambini per parlare di sociale o ridurre tutto a «Il vero razzismo è l'indifferenza». Ma che significa? Pare la frase che Christian De Sica dice a Carlo Verdone in "Borotalco".

Il vero razzismo è l'indifferenza? Ma che vuoi dire? È una supercazzola, una presa in giro.

Non è poi vero ciò che sento dire di Troisi nel monologo:

Troisi parlava spesso degli stereotipi su Napoli, però non distruggeva quelli negativi ma estremizzava quelli positivi.

Massimo Troisi da solo e insieme a "La Smorfia" produsse durissimi atti d'accusa – pur con ironia e consapevole del contesto -. Speculazione post-terremoto, ruberie, mancanza di lavoro. Perfino Andreotti. Altro che stereotipi. Certo se ti fermi alle clip su Youtube  allora questa è l'idea che ne hai.

Quando è uscito il mio disco è andato primo nella classifica mondiale.

Voglio solo farvi capire quanto sono contento di essere diventato il modello di napoletano vincente che troppo spesso mi è mancato.

E arriviamo alla fine:  non mi aspettavo da un ragazzo della periferia sentir parlare di successo in questi termini. Esporre il "Pantheon napoletano", auto-attribuirsi un collegamento e poi dichiararsi vincente per cosa? La classifica di Spotify?

È questo il «napoletano vincente» secondo Geolier? Semmai è un artista vincente, ma Napoli che c'azzecca? Perché la tiri in ballo e "te la vendi" in due minuti di tv?

Io ad esempio considero vincente il napoletano che con forza e pubblicamente ribadisce quanto facciano schifo i modelli criminali presi ad esempio da migliaia di ragazzi.

Geolier ha la forza per dirlo, spero lo faccia presto e con la stessa potenza delle sue canzoni, specie ora che la sua casa discografica sta tentando di fargli fare il ‘salto' nazionale.

 […] adesso Napoli e i napoletani si vogliono affermare per il loro talento e la loro forza…

E basta, dai.
L'idea che solo al talento venga concesso l'onore dell'unicità e il riconoscimento (o stigma) del vincente è pesante da digerire: il metro con cui si misura la vita è questo? Strano sentirlo da un artista.

Ultimo appunto: di napoletani che si sono affermati per «il loro talento e la loro forza», come dice il rapper 23enne, ce ne sono migliaia già solo dal Novecento a oggi, figuriamoci andando a ritroso.

Non c'è alcuna riscossa da guidare, Napoli è già quello che è. Lo è sempre stata.

Non lo è grazie a Geolier. Semmai dentro, c'è anche lui.  Auguri per il futuro, Emanuele.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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