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Camorra e appalti, ai domiciliari manager e avvocato. Gli indagati traditi dal gruppo su Whatsapp

Camorra e appalti Rfi: imprenditore vicino ai Casalesi e ai Moccia aveva avuto informazioni riservate da un funzionario di banca. Gli indagati erano tutti nello stesso gruppo Whatsapp: “Pizza tra amici”
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Oggi come allora, anzi come sempre. Un’alleanza d’affari e di camorra che ha resistito alle grandi inchieste, ai processi, alle mattanze, alle guerre di successione. I Casalesi di Schiavone (e di Zagaria) amici e sodali degli afragolesi, prima dei Magliulo e poi dei Moccia, negli appalti per le grandi opere. Se nei primi anni Novanta troviamo Nicola Schiavone, lo “zio Nicola” arrestato stamattina, sui cantieri dell’Alta Velocità, oggi rispunta tra Campania e Puglia nei subappalti di Rfi.

Il tramite è la Macfer, amministrata di fatto da tale Crescenzo De Vito da Giugliano che ritroviamo – il manager e la ditta, sequestrata – nel blitz contro il clan Moccia di due settimane fa e ancora stamattina, nell’operazione sugli Schiavone ma anche in una ordinanza autonoma, che porta la firma degli stessi magistrati (i pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede, il gip Giovanna Cervo), nella quale viene ricostruita una fuga di notizie che ha rischiato di far saltare l’operazione quando era ancora alle prima battute, a gennaio del 2019.

De Vito risulta essere, infatti, il destinatario di una informazione riservata proveniente da un funzionario della Banca di Credito Popolare di Torre del Greco (Francesco Chianese, interdetto dall’attività creditizia per sei mesi). Per ragioni d’ufficio Chianese sapeva di accertamenti bancari disposti dalla Dda di Napoli e lo aveva riferito a De Vito. Che, a sua volta, si era preoccupato per Nicola Schiavone senza tralasciare nulla per cercare di sapere il più possibile sull’inchiesta e sui magistrati che la stavano coordinando. Il tramite, un avvocato del Foro di Napoli Nord, Matteo Casertano, destinatario come De Vito di un’ordinanza di arresti domiciliari. Sia Chianese, sia Casertano, interrogati durante le indagini, hanno negato ogni responsabilità, attribuendo il tutto a un equivoco. Nel procedimento risulta indagato anche un sottufficiale dei carabinieri, identificato tramite un gruppo Whatsapp, “Pizza tra amici”, nel quale era iscritto assieme ad altri suoi colleghi e all’avvocato Casertano.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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