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Mps, il mercato fiuta un flop e il titolo crolla sui minimi storici

Mps non fa ancora sapere quante adesioni ha avuto la riapertura dell’offerta di scambio volontario bond/azioni e il titolo cade in borsa. Il mercato fiuta la possibile rinazionalizzazione dell’istituto, ma solo dopo l’applicazione delle norme sul bail-in…
A cura di Luca Spoldi
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Mps avrebbe dovuto far sapere in giornata l’esito della riapertura dell’offerta di scambio volontario di bond subordinati in azioni, ma al termine della giornata di borsa l’amministratore delegato Marco Morelli si trincera dietro un “non lo sappiamo ancora” e rimanda a domani, quando si saprà anche quale sarà stata la risposta degli investitori istituzionali. Il sentiero che potrebbe evitare l’intervento pubblico è sempre più stretto per l’istituto senese, e forse è già giunto alla fine.

Secondo alcune voci, che Morelli non ha voluto confermare ma neppure smentire, alle 14.00 odierne le ulteriori adesioni si sarebbero fermate attorno al miliardo di euro, bissando così il risultato ottenuto prima del referendum del 4 dicembre. Con 2 miliardi in tasca Morelli non può ancora abbassare la guardia, anzi, perché il mercato retail non sembra in grado di assorbire, nella migliore delle ipotesi, più di 1,5 miliardi di euro. L’altro miliardo e mezzo, o più, dovrà dunque venire dai famosi (e per molti versi fantomatici) investitori istituzionali che lo stesso Morelli assieme a Jp Morgan e Mediobanca sta cercando da settimane di convincere ad investire sul rilancio dell’istituto.

Se non ci riuscirà la banca, che secondo quanto si legge nel secondo supplemento al documento di offerta diffuso oggi dalla banca, ha in cassa 10,6 miliardi di euro, sufficiente per i prossimi 4 mesi ma destinata ad azzerarsi nel corso di maggio (mese che in assenza di interventi chiuderebbe con una liquidità di -15 milioni), non potrà evitare l’intervento pubblico, che avverrà attraverso due diversi strumenti (e che non sarà limitato solo all’istituto senese). Da una parte verrà fornita una garanzia statale di liquidità per ripristinare la capacità di finanziamento a medio e lungo termine delle banche (garanzia che la Commissione Ue già in estate aveva autorizzato fino ad un tetto di 150 miliardi di euro).

Dall’altra parte il Tesoro (che è già socio al 4% di Mps) potrà assumere (nel caso di Siena incrementare) partecipazioni nel capitale azionario di istituti in crisi, di fatto rinazionalizzandoli sebbene temporaneamente, dopo però che sarà stato fatto scattare il meccanismo del “burden sharing” (condivisione del peso dell’operazione, ndr). La norma, come già ricordato, prevede in questi casi che lo stato possa intervenire solo che almeno l’8% delle passività sono state coperte da fondi privati, ad esempio convertendo forzatamente in azione i bond subordinati (e occorrendo i bond senior non garantiti).

Visto che Mps ha 4,5 miliardi di tali bond, quelli appunto su cui è stata lanciata la proposta di conversione volontaria a premio (Lme), non dovrebbe essere necessario coinvolgere altre tipologie di investitori e lo stato verserebbe tra 500 milioni e un miliardo per completare la ricapitalizzazione da 5 miliardi richiesta. Altri soldi pubblici se ne andranno in realtà per rimborsare quegli investitori retail che possano dimostrare di essere stati “truffati” all’atto della sottoscrizione dei bond subordinati.

Ma questa via, come sanno i bondholder coinvolti nella risoluzione di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFe un anno fa, è lunga e tortuosa anche se ex post potrebbe rivelarsi la strategia meno rischiosa di tutte per i piccoli investitori (solo per quelli “truffati”, ovviamente). Soldi che torneranno mai indietro? Dipende: nel caso delle quattro “good bank” ci si attendeva un piccolo profitto dalla cessione, mentre tre di esse (per lq aurta, CariFe, è nebbia fitta) dovrebbero essere cedute sostanzialmente a zero ad Ubi Banca, per di più dopo ulteriori iniezioni di capitali e l’intervento del fondo Atlante per alleggerirle di ulteriori 2,7 milairdi di Npl.

Nel caso di Mps, che a livello operativo registra risultati in utile, le cose stanno molto diversamente (e meglio), per cui è auspicabile che se ci sarà un ricambio profondo di tutte le prime linee di management non solo nell’istituto senese ma in tutto il sistema italiano, la crisi potrà essere definitivamente lasciata alle spalle e, nell’arco di alcuni anni, lo stato potrà tornare a riprivatizzare Mps.

Sempre che qualcuno non decida che la colpa di tutto è “del mercato” cattivo che ha acceso un faro sulle “worst practices” che per anni tutto il sistema banco-politico italiano ha compiuto impunemente, con la complice disattenzione di chi avrebbe dovuto sorvegliare per prevenire la crisi. Nel frattempo il mercato punisce Mps, che chiude a 16,29 euro con un calo del 12% abbondante, dopo aver anche toccato in giornata il nuovo minimo storico di 15 euro per azione.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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