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Morto d’infarto a 30 anni perché costretto a straordinari continui e turni massacranti

La Cassazione ha condannato l’Asl a risarcire i familiari di Giuseppe Ruberto, un tecnico radiologo morto di infarto a 30 anni perché costretto a sobbarcarsi continui straordinari e turni massacranti.
A cura di Davide Falcioni
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Un uomo di 30 anni è morto perché costretto a sobbarcarsi un superlavoro. L'Asl dovrà ora risarcire i suoi familiari. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che ha esaminato il caso di un tecnico radiologo in servizio dal 1991 al 1998 all’ospedale Basilotta di Nicosia, in Sicilia, morto il 19 settembre 1998, quando aveva solo 30 anni, per infarto.

Giuseppe Ruberto, questo il nome del lavoratore, malgrado una laurea in medicina faceva il tecnico radiologo all’ospedale di Nicosia, mansione che doveva ricoprire insieme e soli altri quattro colleghi. Il processo, in cui la moglie e la figlia di Ruberto hanno chiesto all'azienda sanitaria un risarcimento danni, ha accertato che durante gli otto anni di attività dell’uomo, la struttura aveva eseguito 148.513 esami, una media di 18.564 all’anno, oltre a quasi cinquemila Tac.  Un numero decisamente spropositato raggiunto solo impnendo ai lavoratori massicce dosi di straordinari, turni massacranti diurni e notturni e un ricorso alla reperibilità costante. Come se non bastasse, per spostarsi da una struttura all’altra dell’ospedale era necessario uscire all'esterno nonostante le temperature molto rigide che in inverno vengono toccate a Nicosia, comune a 700 metri di altitudine.

Il processo in primo grado, terminato nel 2010, diede ragione ai familiari del tecnico mentre l'anno successivo il tribunale di Caltanissetta ribaltò la sentenza spiegando che l'azienda non aveva colpe. Il nuovo colpo di scena lo scorso 8 giugno, quando la sezione lavoro della corte di Cassazione ha stabilito che "l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". L'azienda sanitaria, secondo i giudici, avrebbe dovuto prevedere che sottoponendo a "super lavoro" quel radiologo lo esponeva a un possibile danno. "Era un principio già fissato dalla Cassazione – spiega il legale della famiglia Ruberto, Giuseppe Agozzino – ma ora viene riconosciuto che le condizioni di super lavoro, dovute per soddisfare le esigenze del datore di lavoro, se creano un danno devono essere risarcite. Ed è irrilevante che il lavoratore non si sia mai lamentato di quella situazione, cosa che l’Asp aveva rilevato a propria difesa".

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