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“Molestata a 9 anni da un professionista amico di papà”, racconto shock di Cecilia Strada

L’ex presidente di Emergency e figlia di Gino Strada denuncia su facebook una molestia subita a soli nove anni da quello che doveva essere un amico del padre.
A cura di Antonio Palma
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"Avevo nove anni, l’apparecchio ai denti ed ero sola a casa", comincia così il racconto di un personale e bruttissimo ricordo che l'ex presidente di Emergency, Cecilia Strada, ha deciso di condividere pubblicando un post sul suo account facebook e denunciando di essere stata molestata in tenera età da un uomo adulto insospettabile, un professionista amico del padre Gino Strada. "Quando l'ho scritto pensavo l'avrei pubblicato con uno pseudonimo; oggi, in effetti, non vedo più il motivo per farlo" scrive Cecilia Strada in riferimento  alla lunghissima scia di donne che nelle ultime settimane hanno raccontato di aver subito molestie sessuali dopo l'esplosione del caso Weinstein in Usa.

"Il mondo era ancora un posto senza cellulari e si chiamava sul telefono di casa: ‘C’è la mamma? C’è il papà?'. Sono a lavorare, dico al signore all’altro capo del filo: quaranta o cinquant’anni più di me, importante e stimato professionista, amico di papà. ‘Quindi sei sola a casa?'. Qualcosa nel suo tono non mi torna. La me stessa di trent’anni più vecchia dice ‘metti giù'. La me stessa di nove anni dice sì", ha ricostruito Strada nel lungo post di denuncia in cui racconta la molestia telefonica che prosegue: “ ‘E come sei vestita?'. Il suo tono mi torna sempre meno, ma sono imbarazzata, è un uomo adulto, è un amico di papà, la mamma mi ha insegnato a essere sempre gentile, glielo dico. Ho i jeans e la maglietta. ‘E le mutandine? Di che colore sono le mutandine?'. La trentanovenne ora strilla ‘Metti giù! Mandalo affanculo – metti giù – chiama la mamma!'. La novenne si sente gelata di vergogna, ma che cosa posso fare per uscire da questa situazione? Per chiudere prima possibile, ma senza essere maleducata, perché mi hanno insegnato ad essere sempre educata, e comunque questo è un adulto, mi ripeto, un amico di papà, non posso mica mettere giù. Anche se sono fredda gelata e adesso ho anche un po’ paura. Dico ‘Non mi ricordo'”.

L'uomo però insiste. " ‘Metti una mano nei jeans e guarda di che colore sono'. Non lo voglio fare. È tutto sbagliato. Non so come uscirne. Improvviso: ‘Non posso farlo. Perché… – la trentanovenne: perché sei un porco pedofilo di merda, ecco perché! – perché sono troppo stretti', dico. ‘Mi piacciono i jeans stretti', fa lui – la trentanovenne urla ‘Cretina! Bella improvvisazione! Allora potevi anche dirgli scusa-ma-sto-facendo-merenda-con-una-bella-banana!'. Lui va avanti: ‘se sono così stretti devi tirarli giù, per guardare bene'. A quel punto divento un blocco di pietra. Una sensazione fisica: mi sento tutta dura, fredda. Un unico blocco. Di pietra. Dico ‘No, non posso'. Insiste. Insisto anch'io: ‘No, non posso, sono troppo stretti per tirarmeli giù'. Mi attacco alla mia improbabile scusa, mi rendo conto che è assurda, ma la ripeto e la ripeto, insisto. No. Dopo un po’ desiste, saluta, mette giù".

"Ci ho messo parecchie settimane – parecchie settimane in cui morivo di vergogna ogni volta che squillava il telefono e mi infilavo in bagno per non dover rispondere – per decidere di dirlo a un amico della mamma e poi, insieme a lui, dirlo alla mamma. Non so che cosa abbiano fatto, ma il tizio non ha più telefonato a casa mia. Qualche anno dopo è morto. E mi spiace aver perso l’occasione di chiamarlo finché ne avevo il tempo, per fargli fare due chiacchiere con la me stessa grande" ha ricordato ancora Cecilia, concludendo: "A distanza di anni, però, la domanda più dolorosa rimane questa: l'ha fatto con qualcun altro? Ha fatto di peggio? E se ha potuto fare di peggio, è perché non ho fatto abbastanza per fermarlo? Chissà".

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