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Violenza ostetrica: tutte le testimonianze

Violenza ostetrica, Anna: “Impazzivo per il dolore e mi dicevano di imparare a fare la mamma”

“Le donne, nel parto e nel post parto, non vengono considerate. Ci si concentra solo sul bambino, ma anche le mamme hanno bisogno di sostegno e di cure. Siamo esseri umani. Non solo mamme, né tantomeno supereroi”
A cura di Francesca Del Boca
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"Il mio parto è stata una violenza fisica e psicologica. Riesco a parlarne solo dopo dieci anni, e ancora oggi non è facile". Sono le parole di Anna (nome di fantasia), 40 anni, milanese, nel suo racconto a Fanpage.it, che da mesi raccoglie storie e interventi sul tema della violenza ostetrica.

"Non voglio apparire. La mia vuole essere solamente una denuncia sociale, perché dopo aver letto della mamma del Pertini non possiamo stare più in silenzio. Vuole essere una sensibilizzazione verso le donne che spesso, nel parto e nel post parto, non vengono minimamente considerate". 

Le contrazioni e il dolore

Milano, un celebre ospedale della città. È la primavera di una decina di anni fa, una sera di fine maggio. "Ero emozionatissima. Mi ero trovata bene durante le visite, e avevo deciso di partorire in quell'ospedale. Mi dicevo: la sanità qui a Milano funziona benissimo, farò un parto normalissimo".

Ore 21 del 30 maggio, arrivano le prime contrazioni. "Vengo monitorata fino alle 2.30. Ho contrazioni fortissime tutta la notte, ma alla visita del mattino mi dicono che devo ancora aspettare. Sono stremata dal dolore, dopo 12 ore che sopporto le contrazioni. Non ho chiuso occhio tutta la notte, non resisto più, sono spaventata… scoppio a piangere. Mi dicono che il mio pianto disturba il reparto, che devo darmi un contegno".

Alle ore 11 del giorno seguente, 31 maggio, Anna sente ancora dolore e ha contrazioni fortissime ma irregolari. Cominciano le operazioni di induzione del parto. "Ma il mio utero non si dilata, o comunque lo fa molto lentamente.

L'ostetrica di turno mi dice: "Signora, lei ha un utero cementato, non ne vuole sapere di dilatarsi!". Allora chiedo perché non mi fanno il cesareo, perché insistere così. Mi rispondono che la decisione spetta al medico e non a me". Ore 16.30: "Mi addormento esausta dopo l'epidurale. Dopo quasi 24 ore di contrazioni dolorosissime sono uno zombie".

Il momento del parto

Il momento sembra arrivare verso l'1 di notte del 1 giugno. "Finalmente le contrazioni sono regolari, un'ostetrica mi dice che devo spingere: ci siamo. Ma nulla, non ci riesco. Mi dicono di spingere, che mio figlio è in sofferenza già da 10 minuti, ha la tachicardia, devo partorire". La sala parto all'improvviso si riempie di personale medico e di infermiere. "Il ginecologo si presenta e mi dice di mettercela tutta. Che abbiamo poco tempo e stanno preparando il cesareo, è l'ultimo tentativo".

L'ultimo tentativo in realtà sono quattro o cinque tentativi. "Mi legano un lenzuolo alla pancia, ho i brividi al solo ricordo. Nel frattempo il ginecologo mi applica l'episotomia (incisione del perineo al fine di allargare l’apertura vaginale). Dobbiamo essere tutti coordinati.

Al "tre" del medico succede questo: io spingo, due infermieri tirano i lembi del lenzuolo dalle estremità opposte, due ostetriche mi saltano sulla pancia facendo pressione per far uscire il bambino, il ginecologo lo tira con la ventosa". Il piccolo viene alla luce: 4,210 kg per 55 cm di altezza. "Pensavo fosse finalmente finita".

Il post parto

"Poco dopo mi cuciono, e iniziano a lavorare per la ricostruzione della vagina lacerata. Non riesco a mettermi in piedi, ho la sensazione che mi sia passato un treno sotto. È tutto un dolore, sono gonfia, non riesco a chiudere le gambe", continua il racconto di Anna.

"Alle 4.30 mi portano in camera. Mio figlio va al nido e riesco finalmente a dormire un paio d'ore: alle 7 del mattino me lo riportano. Comincia il rooming-in e mi è andata bene, ma ammetto che anche io qualche volta mi sono addormentata col bambino accanto. In media dormivo un paio di ore al giorno".

Stanchezza, sonno, dolore. "Non riuscivo a mettermi in piedi, camminavo letteralmente piegata a 90 gradi. Il dolore era fortissimo. Ed ecco che un paio di infermiere del piano cominciano a sfottermi, infastidite dalla mia richiesta di aiuto per cambiare il bambino. Ecco che un'infermiera comincia a dire: "Ma questa qua si vuole dare una mossa? È una mamma!". E poi: "Signora, si metta dritta, lei ha fatto un parto naturale, non può avere tutto questo dolore".

"Un giorno sento un qualcuno che dice a mio marito dietro la porta "sua moglie va stimolata, deve imparare a fare la mamma". Ma io non ero depressa, avevo solo dolore. Un dolore terribile. Mio figlio lo sapevo accudire, non riuscivo solo a stare in piedi: perché nessuno voleva capirlo?".

Le parti intime sono gonfie e nere, piene di punti di sutura. "Quando chiedo aiuto per pulirmi, mi rispondono in maniera sbrigativa: "Signora, ho le mani proprio come lei, può fare anche da sola". Oppure mi rimproverano se non riesco a raggiungere il bagno, tra sbuffi e borbottii: "È una questione di educazione".

"Siamo esseri umani, non solo mamme"

Anna viene dimessa a una settimana dal parto, e dalle ferite si riprende del tutto dopo oltre sei mesi. Da tutto il resto, ancora oggi, no. Nonostante la gioia quotidiana di cresce il suo piccolo, "la vera medicina a tutto quello che ho passato".

"Le donne, nel parto e nel post parto, non vengono minimamente considerate. Ci si concentra solo sul bambino che per carità, ha la priorità su tutto e nessuno vuole metterlo in discussione, ma anche le mamme hanno bisogno di sostegno e di cure. Siamo esseri umani, non solo mamme, né tantomeno supereroi".

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