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Milano, un medico di base in prima linea: “Triste per gli attacchi, io da solo con 1400 pazienti”

In questa seconda ondata della pandemia di Coronavirus sembrano crescere gli attacchi verso i medici di base, la prima linea sul fronte della lotta al virus. L’ultimo terreno di scontro è rappresentato dai tamponi rapidi: a Milano solo il 10 per cento dei medici di famiglia ha aderito. “Ben vengano, ma devono essere eseguiti in ambienti adeguati, non negli studi. Altrimenti si pregiudica la salute degli altri pazienti”, dice a Fanpage.it il dottor Maurizio Mercogliano, medico di base a Milano. “Sono triste e sconfortato per i continui attacchi, assisto quasi 1400 pazienti e, come tanti miei colleghi, sono da solo nel mio studio”.
A cura di Francesco Loiacono
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"Anche oggi abbiamo ricevuto attacchi mediatici. Purtroppo l'immagine del medico di famiglia in Italia è ancora legata al dottor Tersilli interpretato da Alberto Sordi nel film ‘Il medico della mutua', ma i tempi sono cambiati". È "triste e sconfortato" Maurizio Mercogliano, uno dei tanti medici di base di Milano che costituiscono la prima linea della battaglia al Covid in questa seconda ondata che si è abbattutta in particolare proprio sul capoluogo lombardo.

Dottore, in tanti parlano di crisi della medicina del territorio, ma in questa seconda ondata più che le mancanze dall'alto, in termini di mancati investimenti, l'impressione è che si voglia scaricare la colpa sui medici di base.

Purtroppo è più che un'impressione. Eppure io, fin dalla prima ondata della pandemia, non ho chiuso il mio ambulatorio nemmeno un giorno e ho sempre visitato i miei pazienti. C'è chi non capisce che noi medici di base siamo da soli a lavorare. All'inizio non abbiamo ricevuto nessun protocollo su cui basarci per la cura dei pazienti Covid-19 positivi, ce lo siamo dovuti ‘scopiazzare' dai colleghi anestesisti e che sono in ospedale.

Dove lavora e quanti pazienti assiste?

Io ho il mio studio da due anni nel quartiere di Cascina Merlata, una zona residenziale di nuova costruzione. Assisto quasi 1400 pazienti e in questo momento seguo 35 pazienti Covid-19, di cui uno che ho fatto ricoverare in ospedale per via di problematiche respiratorie. Ma un'altra cinquantina di pazienti presentano tutti i sintomi del Coronavirus e sono in attesa del tampone. Allo stato attuale però, per ottenerlo dall'Ats, passano almeno 7 giorni.

Com'è secondo lei la malattia in questa seconda fase?

Va fatta una premessa: nella prima ondata nessuno sa con precisione quanti siano stati gli ammalati, anche perché i tamponi si facevano in ospedale ai casi più gravi. La malattia di sicuro non ha mai smesso di essere infettiva. Quello che si vede adesso è un maggior numero di persone coinvolte, ma questo è legato agli "stravizi" estivi. A giugno i numeri erano confortanti, poi con le vacanze la situazione è peggiorata. Certo, oggi il virus sembra meno letale, ma questo anche perché abbiamo acquisito capacità farmacologiche per poterlo trattare. Comunque anch'io ritengo, come si dice da più parti, che almeno 1 paziente su 3 potrebbe non andare in ospedale.

In questo caso entrate in gioco appunto voi, medici di base. Siete stati assistiti in questa seconda ondata? Com'è la situazione a livello di Dpi (dispositivi di protezione individuale) e del rapporto con le Usca (Unità speciali di continuità assistenziali, istituite a marzo)?

Io ho ricevuto i primi Dpi 1 mese e mezzo dopo la "bomba" della scorsa primavera. Avevo delle scorte, ma dopo è stato difficile reperirli. Da aprile-maggio non ho più ricevuto Dpi da parte di Ats: noi in ogni caso siamo liberi professionisti, tutto ciò che è nel nostro studio è roba nostra e abbiamo dunque dovuto comprare noi tutto. Per quanto riguarda le Usca invece il mio riscontro è positivo: tutte le volte che le ho chiamate si sono attivate rapidamente e anche adesso, in questa fase, si attivano entro le 24 ore per i pazienti più gravi. Però è la mia esperienza, so che altri colleghi hanno avuto tempi più lunghi.

Tra le "armi" che potreste usare per individuare i casi di Coronavirus ci sono anche i tamponi rapidi. Eppure secondo Ats solo un medico di base su 10 ha aderito. Come mai? Quali sono i problemi?

Ben vengano i test rapidi, ma devono essere eseguiti in ambienti adeguati. Il rifiuto da parte di molti deriva da un problema di logistica: il fatto di dover eseguire il tampone nello studio è incredibile. Io, come detto, non ho mai smesso di visitare anche altri pazienti con molte patologie, e come me molti altri colleghi. Come facciamo ad assicurare anche la loro sicurezza? Per il tampone serve un ambiente ospedaliero o comunque adeguato, dove poi vi sia una disinfezione costante. Io ho perfino chiesto a Euromilano (proprietaria della cascina in cui si trova lo studio medico, ndr) di poter allestire un drive-through. C'è poi una seconda riserva legata all'efficacia del tampone rapido. E al fatto che se è positivo si debba comunque prescrivere il tampone molecolare, con i tempi che ho già illustrato.

Dottore, eppure non crede che alcune "accuse" riservate alla categoria siano fondate? Avete avuto molti contagiati nelle vostra fila, e anche purtroppo molte vittime, ma d'altra parte ci sono anche colleghi che non rispondono o attaccano la segreteria telefonica.

Ma questo vale per tutte le categorie. Ci saranno certo medici che non lavorano in maniera corretta, ma io conosco tanti colleghi che sono all'opposto. Il problema con la nostra categoria è anche di tipo culturale: la nostra figura è legata al concetto del medico della mutua interpretato nell'omonimo film da Alberto Sordi, a quel dottor Tersilli che lavora poco e male e che è continuamente a caccia di pazienti. Ma i tempi sono decisamente cambiati, noi non siamo più quei medici lì. Ed è questo, unito a una mole di lavoro sempre crescente e al fatto che siamo da soli nei nostri studi, ad alimentare tristezza e sconforto.

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