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Milano, aumentano i disturbi alimentari tra i giovani: “Con la pandemia sempre più richieste”

Con la pandemia da Covid-19 sono aumentate a Milano e in tutta Italia le richieste di aiuto tra i giovani e i giovanissimi che soffrono di disturbi alimentari. Fanpage.it ha intervistato il dottor Ettore Corradi, primario dell’ospedale Niguarda.
A cura di Ilaria Quattrone
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Foto di repertorio
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“I disturbi alimentari, da un paio di decenni, sono in lento aumento. L’emergenza sanitaria del Covid-19 ha fatto sì che, in tutta Italia, questi facessero un salto molto importante”: a dirlo a Fanpage.it è il dottore Ettore Corradi, Direttore della S.C. di Dietetica e nutrizione clinica dell’ospedale Niguarda di Milano. La pandemia, alterando le attività quotidiane e costringendo all’isolamento sociale, ha portato a un incremento delle patologie tra i giovani e i giovanissimi e a un abbassamento ulteriore dell’età media: “La pandemia, anche nel caso dell’abbassamento dell’età, è stato un acceleratore negativo”, spiega il medico.

Dottor Corradi, sono aumentati i disturbi alimentari tra i giovani con la pandemia?

Con i disturbi alimentari non è sempre facilissimo fare questo tipo di statistiche perché sono patologie abbastanza nascoste: molte volte l’attenzione è tardiva e purtroppo registriamo una difficoltà a intercettare il disturbo precocemente. Anche nel caso di pazienti che si rivolgono alle strutture è complesso fare una valutazione delle prese in carico perché queste sono sempre in difficoltà. Possiamo però dire che a livello nazionale sono aumentate: il ministero della Salute segnala un incremento del 40 per cento delle chiamate con un aumento di un terzo delle richieste di presa in carico. Tutto questo è collegato all’emergenza sanitaria corrente. La patologia infatti è in aumento da un paio di decenni, ma ha fatto un salto importante proprio in correlazione alla pandemia.

Perché la pandemia ha portato a questo incremento? 

I motivi possono essere molteplici: dalle alterazioni delle attività quotidiane all’isolamento sociale con una modificazione dell’attività fisica e della alimentazione nei suoi ritmi luoghi e luoghi di consumo. Registriamo un incremento dei disturbi del sonno e una maggiore attenzione al cibo vuoi per le  ore trascorse a casa vuoi per la ricerca di cibi salutari "protettivi per la pandemia ". Per quanto riguarda i giovani, a influire non è stato solo il lockdown, che ha alterato le dinamiche famigliari e sociali ma è stato relativamente breve, ma anche la didattica a distanza dove l’interazione diretta con gli adulti di riferimento è venuta meno per tante ore della giornata, quanto i genitori hanno ripreso le attività lavorative.

Anche all’ospedale Niguarda avete avuto un aumento di richieste?

Si anche all’ospedale Niguarda abbiamo registrato un aumento delle richieste in linea con i dati nazionali. Sia le richieste dai centri di primo livello, che gli accessi di pronto soccorso sono aumentati e di conseguenza i ricoveri mostrano numeri in aumento. C’è anche un incremento di pazienti che necessitano di essere "appoggiati" in altri reparti per poi essere trasferiti. Quindi sì, ci sono delle difficoltà.

I social network sono un fenomeno da monitorare e che contribuiscono alla nascita di disturbi alimentari?

È fuori dubbio che ci sia una pressione da parte dei media e dei social e che ci sia una confusione tra corpo sano e corpo magro. Però, per esempio nel caso dell’anoressia nervosa, ci sono dinamiche molto più complesse. Ci sono sicuramente correlazioni anche con i social network e i media, però ci sono tanti altri fattori che possono influire.

Per quanto riguarda l’età dei ragazzi che chiedono aiuto, è diminuita?

L’età di esordio più comune era quella tra i 15 e i 19 anni. Anche in questo, nel corso degli anni, si stava avendo un abbassamento e anche su tale aspetto la pandemia è stata un acceleratore negativo: abbiamo episodi sia sotto i 14, ma anche i 13 anni.

Sono aumentati i disturbi alimentari anche tra i ragazzi o solo tra le ragazze? 

Lavorando in ospedale, non è possibile vedere tutti i disturbi dei comportamenti alimentari. In questi confluiscono diverse patologie che vanno dall’anoressia nervosa alla bulimia, all'alimentazione compulsiva eccetera. In ospedale arrivano persone con dei disturbi organici importanti o comunque con una gravità maggiore rispetto a chi viene seguito a livello ambulatoriale, psicologico o psichiatrico. Di conseguenza, sulla nostra popolazione di pazienti non abbiamo visto una grossa variazione di genere: siamo sempre su dieci pazienti, di cui nove donne e un uomo. C’è da dire però che molti miei colleghi, che vedono altri tipi di disturbi alimentari, affermano che già da tempo sono in aumento le richieste di aiuto tra gli uomini.

Come possiamo aiutare le persone che soffrono di disturbi alimentari?

I servizi che si occupano di questi tipi di disturbi sono sottodimensionati. L’epidemiologia sta cambiando, ma i servizi non cambiano alla stessa velocità. Quelli che si occupano di disturbi alimentari sono servizi che hanno caratteristiche peculiari e che consumano tante ore d’uomo. Spesso sono in controtendenza con i modelli della medicina moderna. Quello che si può fare è cambiare questa tendenza. Basti pensare che i disturbi alimentari non sono ancora inseriti nei Lea (Livelli essenziali di assistenza). Questa cosa mi colpisce molto perché si parla spesso di disturbi alimentari, ma nella realtà c’è ancora molto da fare. In Lombardia, per esempio, Regione ha approvato a inizio anno una legge di riordino e questo è molto positivo che però adesso deve essere attuata. Quello che posso suggerire è di osservare ogni aspetto del benessere di un giovane: se un ragazzo cambia umore, se si isola, se aumentano certi bisogni di perfezionismo o di controllo allora è necessario stare allerta perché sono tutti segnali anche in assenza di un comportamento chiaro legato gli alimenti. Bisogna ricordare però che è sempre un problema complesso per il quale non c’è una soluzione semplice.

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