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Madri single e famiglie straniere: chi sono le persone che Milano esclude da lavoro e casa

A Milano, la povertà è donna: è questo quanto rilevato dal progetto Nessuno Escluso di Emergency: “le politiche a supporto delle donne non sono sufficienti a rimuovere tutti gli ostacoli che rendono difficile la loro piena partecipazione alla vita sociale, culturale ed economica del Paese”, spiega a Fanpage.it la presidente di Emergency.
A cura di Ilaria Quattrone
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"La povertà è donna e parla italiano, arabo, peruviano, ucraino": è quanto ha rivelato il report del progetto Nessuno Escluso di Emergency a Milano. Le donne che si sono rivolte a Nessuno escluso sono state infatti il 70,3 per cento. Si tratta di madri single, ma anche coppie. A questo si aggiunge un altro dato: gli utenti supportati dal programma, hanno un reddito familiare pari a 750 euro. Una cifra che, soprattutto in una città come Milano, rende complicato (se non impossibile) vivere.

Il progetto di Emergency punta soprattutto a emancipare gli utenti che vi si rivolgono. E per questo che, oltre alla distribuzione di pacchi alimentari, sono previsti altri tipi di aiuti. Le persone chiedono supporto per cercare un lavoro stabile, una casa, regolarizzare i documenti, ottenere sussidi, prestazioni sanitarie o altri strumenti come il dopo scuola o la scuola di italiano. Ma, come spiegato a Fanpage.it dal coordinatore del progetto Marco Latrecchina, la difficoltà maggiore si riscontra nella ricerca di una sistemazione abitativa e di conseguenza nel regolarizzare i documenti per accedere ai servizi di welfare locale.

Le donne che si sono rivolte a voi sono soprattutto madri single? 

Nel 70 per cento di donne che si è rivolto al nostro progetto, ci sono sia madri single che in coppia. Hanno tutte problemi simili: quando non riescono ad accedere ai servizi del welfare locale (doposcuola, centri diurni nel caso di figli disabili o esenzioni per le mense etc) fanno fatica a trovare lavoro. Il genitore single che non riceve questo supporto, è costretto a rimanere a casa per poter gestire i figli. Di conseguenza rimane pochissimo tempo disponibile per lavorare.

In caso di coppie, dove uno dei due dovrà badare ai figli, si ha spesso un reddito minimo che basta appena per pagare alcune spese. Non saranno sicuramente coperte tutte le necessità del nucleo familiare.

Questo innesca una spirale negativa: se uno non ha abbastanza reddito non riesce a regolarizzare la sua situazione abitativa. Questo non significa che si è occupanti o abusivi. Significa che spesso non hanno contratti, ma pagano affitti in nero in case sovraffollate.

Chi paga un affitto in nero non riesce a chiedere la residenza, di conseguenza non può richiedere l'Isee e senza entrambi non può accedere ai servizi di welfare. Il nostro progetto cerca di toglierli da questa spirale. Proviamo a farli accedere ai servizi di welfare locale perché in questo avranno più tempo da dedicare a un lavoro stabile e di conseguenza potranno emanciparsi.

Nel caso di donne, avete riscontrato una difficoltà ad accedere al mondo del lavoro?

Sì, ma la difficoltà maggiore è relativa alla disponibilità oraria. La prima domanda che facciamo a chi si rivolge a noi è su quante ore hanno per poter lavorare: spesso, proprio per quanto detto prima, hanno poche ore disponibili o hanno necessità di lavorare nello stesso quartiere in cui vivono perché non possono allontanarsi troppo dai figli. Collocarli in quelle ore è molto complicato.

Nonostante questo, riscontriamo maggiore successo proprio nell'inserimento lavorativo: abbiamo trovato un'occupazione lavorativa a circa il 25 per cento delle persone che si è rivolto a noi. La percentuale si abbassa in caso di donne. L'area però in cui facciamo maggiormente fatica è quella abitativa: abbiamo una percentuale di successo inferiore al 10 per cento, ci fermiamo intorno al 7 per cento.

E infatti la questione abitativa a Milano è particolarmente complessa soprattutto per il caro affitti: che tipo di difficoltà avete riscontrato? 

Il caro-affitti è uno dei problemi principali. Tutti i nostri utenti (sia italiani che stranieri) fanno fatica ad accedere al mercato libero. Sicuramente per una questione di costi, ma non solo. Sulla base dei nostri dati ci sono famiglie straniere con un lavoro e quindi con uno stipendio che permetterebbe loro di poter avere un contratto sul mercato libero, che hanno difficoltà a trovare proprietari di casa.

Non riescono infatti a trovare persone disposte ad affittare un appartamento a persone straniere con figli. Questo capita anche con le mamme single: una donna sola con figli fa più fatica di uno studente a trovare a casa.

Ci sono poi difficoltà anche sul mercato dell’housing sociale, che altro non è che una forma ibrida tra privato e pubblico. A Milano questo tipo di mercato ha costi inferiori al 20-30 per cento del mercato libero, ma nonostante questo ha cifre ancora molto alte. Di conseguenze le famiglie che si sono rivolte a noi non riescono a gestire e pagare quel tipo d’affitto.

Spesso inoltre i criteri di accesso ai bandi dell'housing sociale sono simili a quelli per accedere alle case popolari. Si tratta di requisiti che non tutti hanno. Uno tra tutti, è quello sulla residenza.

Nel caso di strumenti simili, le regole le fa Regione. Al Comune tocca ovviamente implementarle. Alcune anni fa, Regione aveva stabilito che tra i requisiti richiesti per accedere agli alloggi popolari c'era quello della residenza. In quell'occasione, la Corte Costituzionale l'aveva ritenuta una richiesta illegittima. Di conseguenza è stato stabilito che la residenza sarebbe stato un criterio che avrebbe consentito di acquisire punti in graduatoria.

La metà delle persone che si rivolge a noi, nonostante abiti a Milano da anni, proprio perché paga un affitto in nero non può chiedere la residenza. Di conseguenza, in queste graduatorie, ottiene pochi punti ed è tagliato fuori.

Perché non possono chiedere la residenza nonostante vivano da anni a Milano? 

Noi ci stiamo battendo molto su questo tema. Il codice civile stabilisce che la residenza è un diritto soggettivo: né l’anagrafe né il Comune ha un potere discrezionale in merito. Nel 2015 è stata poi approvata il Decreto Renzi-Lupi che, all’articolo 5, stabilisce che non può chiedere residenza chi occupa abusivamente.

Per avere la residenza, l'Anagrafe chiede di dimostrare che tu non occupi abusivamente un appartamento. Per dimostrarlo, è necessario avere un documento che sostiene che tu sia regolare: chi paga un affitto in nero, magari in una casa sovraffollata perché il proprietario ha deciso di affittare tutte le stanze ad altrettante famiglie, difficilmente avrà un documento che attesti che siano regolari.

Ultimamente è capitato di aiutare utenti ospitati da amici e parenti. La maggior parte di persone che hanno evidenziato episodi simili, sono stati soprattutto cittadini peruviani arrivati in Italia a causa della crisi politica che ha colpito il Perù. In questo caso, sono stati ospitati da amici e parenti che però non hanno rilasciato documenti per un'infondata paura di rivelare la loro presenza sul territorio.

Infine ci sono gli occupanti abusivi. Ci sono tante famiglie che vorrebbero emanciparsi da questa situazione, disposte a pagare i debiti e pagare affitti, ma non esiste una strada per farlo.

Senza giudicare le scelte delle persone, quello che noi vediamo è che la metà dei nostri beneficiari non riesce a ottenere la residenza e da quella dipendono tutti i supporti sociali che un Comune o una Regione può dare. In questo modo le persone non riescono ad emanciparsi dal bisogno di chiedere anche un aiuto alimentare.

Alla luce di tuto questo, possiamo dire che Milano è una città respingente? 

Preciso che le cose che ho raccontato sulla residenza non accadono solo a Milano, ma in quasi tutti i comuni italiani. Milano affronta sicuramente una sfida complessa perché è una città che corre tantissimo. In questa corsa, non tutti riescono a rimanere aggrappati. Bisogna quindi porsi una questione importante e cioè come realizzare una città equa e inclusiva.

Sicuramente è una città nella quale ci sono molti servizi pubblici e privati, ma sono frammentati. È fondamentale che ci sia una regia pubblica forte in grado di compattare tutti questi servizi e lavorare soprattutto per evitare che determinati requisiti diventino ostacoli e barriere che escludono le persone da forme di supporto che li potrebbero aiutare a essere autonomi e diventare così una parte attività della comunità.

Sull'argomento si è espressa anche la presidente di Emergency Rossella Miccio. In particolare Miccio, ha posto l'accento su un aspetto: le categorie più fragili sono sempre quelle che vengono doppiamente penalizzate nei momenti di difficoltà. "Molto spesso la mancata o parziale risposta non guarda alla nazionalità, ma accomuna tutte le fragilità: meno abbienti, donne, persone migranti".

Questa doppia penalizzazione è un fenomeno che si è acuito durante la pandemia da Covid-19, ma che continua ancora oggi: "In questa dinamica, la frammentazione dei servizi non aiuta l’emancipazione delle donne, ma diventa di fatto un’ulteriore ostacolo. Tanto più considerando che spesso le donne sono già chiamate a conciliare, con fatica, tempi ed esigenze del lavoro con quelli della famiglia".

E infatti per la presidente le politiche a supporto delle donne non "sono sufficienti a rimuovere tutti gli ostacoli che rendono difficile la loro piena partecipazione alla vita sociale, culturale ed economica del Paese. Forse, per capire quali strumenti possano essere più efficaci a rispondere alle loro esigenze, bisogna ascoltarle con maggiore attenzione. Farlo farebbe stare meglio non solo loro, ma tutta la società".

Le difficoltà maggiori, come spiegato da Latrecchina, si sono riscontrate soprattutto nel riuscire a trovare casa. Un tema che è balzato agli onori di cronaca con le proteste contro il caro-affitto: "Quando è necessario campeggiare con le tende in città per vedersi riconoscere un diritto, la politica dimostra di non avere né visione, né concretezza. Tanto più che quello abitativo a Milano è un problema cronico".

"Il caro affitti è una delle problematiche su cui la politica non ha dato una risposta adeguata. Così Milano, come altri centri del Paese, è ormai una città a diverse velocità, dove il divario si amplia e diventa insostenibile. Se questa situazione non si affronta in modo adeguato rischieremo presto di non avere più una città inclusiva, ma di ritrovarci una città con nuovi ghetti e frontiere interne. Invece, lavorando per l’inclusività, si può scoprire che anche le categorie ai margini possono diventare una risorsa".

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