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Il Boomer milanese a Fanpage.it: “Sono l’Homer Simpson di Milano, la gente si riconosce nelle mie storie”

Gabriele, 38enne meneghino doc, dalla scorsa estate ha conquistato i social con il suo Boomer milanese. Intervistato da Fanpage.it racconta come è nato questo personaggio e quali sviluppi può avere in futuro: “Non mi precludo niente, ma serve un progetto serio”.
A cura di Enrico Spaccini
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Il Boomer milanese (frame da Instagram)
Il Boomer milanese (frame da Instagram)

Amicizie improbabili, come quella con Donald Trump, "ci conosciamo da una vita, dai tempi in cui prendevo il Concorde e andavamo a fare serata allo Studio 54", flirt con star del cinema del calibro di Monica Bellucci e quel talento per il calcio ostacolato solo da un "maledetto crociato". Questo è il Boomer milanese, il personaggio che dalla scorsa estate ha invaso TikTok con aneddoti di vita mai vissuta e stereotipi di una Milano da bere che vive solo nei ricordi dei nostalgici degli anni '80. "Le mie sono storie prese in prestito dalla megalomania tipica di molti milanesi", racconta Gabriele a Fanpage.it, il 39enne meneghino doc che con un filtro ha dato vita a una delle maschere più apprezzate dei social, "rappresento un po' il ‘bauscia' medio, un po' come Homer Simpson per gli Stati Uniti".

Ti è bastato un filtro per creare un personaggio che, possiamo dire, sui social è diventato iconico. Come è stato possibile?

Il personaggio del ‘Boomer milanese' è nato per gioco durante le ferie, non c'era niente di pianificato. Ho fatto un video con la caricatura del milanese tipo, incastrato in un'epoca nostalgica. Non avevo nozioni a livello social media di nessun tipo. Quando mi hanno detto "hai l'hype", gli ho chiesto se dovevo mettere la mascherina perché magari era qualcosa di contagioso.

Sono dell'85, ma già soffro di elementi di boomerismo. Io guardavo i like, poi alcuni miei amici che mi avevano riconosciuto dalla voce mi hanno fatto notare che avevo raggiunto un milione di visualizzazioni su TikTok. Da lì è un po' iniziata l'avventura di questo personaggio.

Da cosa hai preso ispirazione per il primo video?

Il filtro che uso già girava sui social, era stato già utilizzato da altri. Quello, però, è un volto che si sposa bene con l'idea del milanese tipo e avevo molte storie da raccontare. La faccia ricorda molto alcuni amici di mio padre che frequentavano il bar, anche nei cliché, nei tic. Rievocava quel filone di milanesità degli anni '80.

Adesso queste maschere assumono un po' il ruolo della commedia popolare, come il Meneghino e Pulcinella. Sono un appassionato di teatro, di cinema e ho inserito un po' di elementi di teatralità in una comunicazione da fast-food. Un po' mi stupisco che i miei video attirino molto anche i giovani, anzi più della metà hanno tra i 17 e i 22 anni. Questa cosa mi fa piacere.

Secondo te perché piaci così tanto anche ai giovanissimi?

Penso che il linguaggio faccia tanto. La rappresentazione degli abitanti di un luogo piace sempre. Poi ci sono altri creator che fanno le caricature, come il mio amico Napoli Centrale che fa il vomerese e altri personaggi.

Il mio personaggio riesce anche a coniugare le generazioni, perché i più giovani risentono le cose che a volte dicono gli zii o i genitori. Magari da un mio video con cui ridono scoprono cose e iniziano a fare domande, come i locali tipici degli anni '80 che oggi non ci sono più. È un modo per raccontare la città.

Per farlo racconti aneddoti, alcuni plausibili ma altri che, tirerei a indovinare, sono inventati come la serata con Moana Pozzi. Tutti, però, hanno un qualche collegamento con Milano.

Sì, sono tutte storie prese in prestito dalla megalomania che caratterizza molti milanesi. Come quelli che raccontano di aver avuto flirt con star del cinema, di aver conosciuto personaggi più o meno improbabili. Noi li chiamiamo i "bauscia".

Dicono tutti di aver conosciuto Vallanzasca, che per rendere la storia più credibile chiamano "Renatino", dà più la dimensione della convivialità. Ma il 90 per cento di quello che raccontano sono cavolate. Magari lo hanno solo visto una volta al bar. Anche Loredana Bertè è un personaggio fulcro delle narrazioni milanesi degli anni '80. Se ascolti le storie, tutti quanti a Milano avevano avuto un flirt con lei a quell'epoca. Se poi andiamo sulla dinamica sportiva, lì esce di tutto, tutti campioni mancati: "Non fosse stato per questo crociato…".

Il mio personaggio è un po' come Homer Simpson. Negli Stati Uniti ha così tanta risonanza perché rappresenta l'americano medio. Tutti quanti o si riconoscono in lui o ci vedono un amico, un parente.

Sei un po' l'Homer Simpson di Milano.

Sì, poi ci aggiungo elementi dissacranti, poi il dramma, la pomposità, e ancora la megalomania. Il mio è anche un personaggio che tende a spazzare via il divismo, con le star che vengono banalizzate. Al centro della scena non ci sono loro. Come per dire: "Perché non c'avevo la testa, sennò al posto loro potevo esserci io". Quando arriva il ‘Boomer milanese', tutti gli altri vanno in ombra, che siano Baresi, Stallone o Mike Tyson. E questa cosa fa ridere, è un ribaltamento degli stereotipi.

È un modello che si può replicare anche fuori dai social, come per esempio in uno spettacolo teatrale o anche a una serata di stand-up comedy?

Nelle interviste devo mantenere una parvenza di serietà, ma da tempo amici e colleghi mi incoraggiavano a fare qualcosa, a mettermi in gioco anche sui social perché li facevo ridere. Per un progetto editoriale serio, anche fuori dai social, servono persone creative e collaborative. Sono aperto a qualsiasi opportunità, ma ad oggi non faccio pianificazioni. Se dovessero propormi un progetto strutturato che sia in linea con il personaggio che interpreto, il discorso si farebbe interessante. Mi sono interfacciato con realtà che si occupano di intrattenimento, ma sto valutando. È nato tutto così all'improvviso, che devo ancora capire che tipo di futuro avrà il personaggio.

Purtroppo, per il momento almeno, sono bloccato sui social, che hanno una comunicazione molto fast food. Quello che può andare oggi, magari domani non va più. Prima il mercato dell'intrattenimento, dai film ai programmi tv, era tutto costruito da team di professionisti. Adesso chiunque può fare video. Anzi, meno sei strutturato e forse più piaci. Basta che riesci a catturare l'attenzione entro 3 secondi e questa, forse, è la forza della mia maschera.

Quando sono iniziate le collaborazioni più importanti?

Fin da subito, quando Gerry Scotti mi ha fatto un video e non era assolutamente concordato. Poi si sono fatti sotto tanti altri personaggi, anche con apprezzamenti che mi hanno lusingato e motivato. Io la vivo molto con calma, perché sei sempre legato a dinamiche di algoritmo. È lui che decide se promuoverti, non il pubblico. Poi sotto i miei video la gente sta al gioco, sono coinvolte, questo premia il personaggio.

Se tra 20 anni dovessi raccontare la milanesità di oggi, come la descriveresti?

La mobilità culturale ha influenzato molto la Milano degli anni '80. All'epoca la gente arrivava dal sud e c'era un'interazione con i milanesi. Oggi la città è ancora più cosmopolita. A differenza per esempio con Napoli, dove il dialetto è una vera lingua, il milanese è uno slang e quindi attraversa le tendenze. Prima c'erano modi di dire che sono andati in disuso e io cerco di rispolverare termini che sicuramente i giovani hanno sentito almeno una volta. Per esempio, i ragazzini erano gli "sbarbati", la macchina "il carro". Ma lo stesso dialetto si è perso, non lo parla più nessuno.

Non si può prevedere da qui a 20 anni Milano come sarà. Il ritmo è talmente frenetico e nevrotico che non si può sapere. Dire se è meglio la Milano di adesso o quella dell'epoca non lo so, prima forse si stava meglio ma solo perché si era un po' più egoisti e si pensava più al presente piuttosto che al futuro.

Milano nei prossimi anni potrebbe venire stravolta da progetti immobiliari. Uno di questi potrebbe coinvolgere il quartiere di San Siro, con Inter e Milan che al momento sembrerebbero intenzionate a demolire parzialmente il ‘Meazza' per costruire accanto un nuovo impianto. Cosa ne pensa di questa questione il ‘Boomer milanese'?

"Ho scritto Luci a San Siro con Vecchioni guardando l'Inter, per me c'è un attaccamento superiore rispetto agli altri", direbbe il ‘boomer'. Battute a parte, la cosa migliore secondo me sarebbe ristrutturare il ‘Meazza'. Lo stadio piace non perché è una bella struttura, ma perché è un simbolo. Un po' come la Torre Velasca: Milano è piena di grattacieli, ma questa è un simbolo.

Poi tutto dipende da come vengono gestiti i lavori. Non sarebbe la prima volta che il ‘Mezza' viene stravolto, l'ultima è stata per Italia '90 quando hanno costruito il terzo anello. Portarlo in altre aree farebbe perdere lo spirito, ma tenerlo a San Siro vorrebbe dire mantenere un punto di riferimento per chi ama la propria squadra e la storia di Milano.

"Che poi io ho fatto anche un provino all'Inter. Quando hanno letto l'articolone per il mio provino al Milan, cazzo sono venuti Prisco e Mazzola a chiedermi di andare all'arena Civica a provare per l'Inter".

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