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“Da quando i nonni non riescono a tenere le mie figlie non posso più lavorare”: la storia di Veronica

La storia di Veronica B. 34 anni, residente tra Pavia e Lodi. “Dopo la maternità venivo trattata come un peso a lavoro, destinata a compiti sempre più elementari e penalizzata di continuo. E quando i miei genitori non hanno più potuto tenere le mie figlie sono stata costretta a licenziarmi”. Oggi è disoccupata da un anno e mezzo.
A cura di Francesca Del Boca
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"Sono una mamma, sì, ma sono anche una persona. Ho bisogno di tornare a lavorare, di aprire la testa, di uscire di casa". Veronica B., 34 anni. Abita in un piccolo comune tra Pavia e Lodi con il marito e due figlie piccole, 7 e 5 anni.

Ed è disoccupata da ormai un anno e mezzo. "Dopo la maternità venivo trattata come un peso sul posto di lavoro lavoro. Destinata a compiti sempre più elementari, penalizzata di continuo. E quando i miei genitori non hanno più potuto tenere le mie figlie sono stata costretta a licenziarmi".

Una storia come tante, dal momento che il problema tocca l'Italia intera. Nonostante l'allarmismo demografico e i vari appelli della politica per incentivare la natalità, resta infatti lo scoglio più grande: l'impossibilità effettiva di conciliare genitorialità e lavoro per la maggior parte delle donne – e in particolare le più fragili, quelle che non dispongono di una efficace rete familiare di sostegno o di ingenti possibilità economiche per ricorrere a supporti esterni.

Il risultato? È sotto gli occhi del mondo, e non riguarda solo la vita delle donne: un calo demografico costante, che impatta (e sarà destinato a impattare sempre di più) pesantemente sul welfare e sullo sviluppo economico del Paese. Nel gennaio 2023 sono 50 milioni 851mila i residenti in Italia: 179mila in meno rispetto all'anno precedente.

La storia di Veronica B.

"Ho sempre lavorato, da quando avevo 19 anni. Ho iniziato come commessa in un negozio di abbigliamento, poi sono passata al supermercato. Tutto con contratti a tempo indeterminato", racconta la giovane donna. "Prima di avere figli ero stimata dai superiori e dai colleghi, sempre elogiata e ricercata. Del resto abitavo ancora a casa con i miei genitori, giovanissima, disponibile a fare qualsiasi turno e a lavorare a Natale, a Pasqua, la domenica".

Una vita che scorre liscia, senza particolari preoccupazioni. Così, ormai sette anni fa, Veronica decide che è il momento giusto per fare un figlio. "Ma non è stata mai più la stessa cosa. Dopo la maternità, tutto è cambiato. È stato come se fossi tornata con dei pezzi in meno", le sue parole. "Da che ero elogiata da tutti come la migliore, nel giro di qualche mese sono diventata improvvisamente un problema. Per i miei colleghi, non ero più capace di fare niente".

La maternità allontana dal lavoro

Veronica, con la prima bambina, non può più fare straordinari o accettare all'ultimo turni massacranti. "Pian piano, così, mi hanno demansionato. E relegato a compiti da apprendista, quelli che nell'ambiente si lasciano a "chi ha poca voglia di lavorare". Mi sono lamentata, ho detto: È una vita che sono qui, so fare di tutto. Non me lo merito".

Insomma, proprio quello che la stampa estera chiama motherhood penalty: la sistematica penalizzazione professionale delle donne dopo la nascita dei figli. Che pesa soprattutto in termini di declino salariale, per la scelta diffusa del part-time o a causa di demansionamenti e mancati scatti di carriera (da un recente rapporto Inps una donna, dopo il congedo di maternità, guadagna tra il 10 e il 35 per cento in meno di quanto avrebbe guadagnato se non avesse avuto il figlio).

Il supporto dei genitori

"Non ce la facevo più. Venivo trattata come un peso, giudicata davanti a diritti basilari come uscire appena finito il turno di lavoro, destinata a compiti sempre più elementari e penalizzata di continuo". Nonostante Veronica offra sempre la sua disponibilità: ha i genitori vicini, e le danno una grande mano con le piccole.

Ma mondo del lavoro la mastica e poi la sputa una volta per tutte quando si ammala il padre, e Veronica non può più contare su questo prezioso (quanto insufficiente) supporto privato. Che non è sempre garantito, soprattutto quando la famiglia è lontana o assente. "Ero combattuta, ma alla fine me ne sono dovuta andare. Con il turno delle 7 dove metto le bambine, visto che l'asilo inizia alle 9?".

"Quando me ne sono andata, al mio posto, hanno assunto una ragazza molto più giovane". Avanti un'altra. È anche per questo che, alla fine, il tasso di occupazione delle donne in Italia dopo la nascita di un figlio si ferma al 43 per cento (per scendere al 28 per cento al Sud, contro il 54 del Nord), e una donna su due viene assunta part time. Un'emorragia inarrestabile di capitale umano e professionale.

Il problema degli asili

Da lì, la decisione di cambiare. "A malincuore ho pensato che avrei trovato presto un lavoro diverso, magari da impiegata. Mi piaceva la mia mansione di prima, ma ormai…". Ormai è passato più di un anno. "Ho trovato solo colloqui deludenti, in cui le domande vertono tutte sul fatto che io abbia una famiglia, e pochissime offerte concrete. Tutte a tempo, o a condizioni economiche inaccettabili. L'ultima proposta a 600 euro lordi, per un posto lontano da casa: solo tra caselli e benzina avrei speso gran parte dello stipendio".

Perché sul bilancio familiare già pesa come un macigno l'asilo delle piccole. "Non ho nessuno a cui dare le bambine, e nel mio paese non c'è un asilo comunale. Le ho dovute mettere in una paritaria, e al mese sono tanti soldi". Costosi, e con orari inconciliabili con i ritmi di lavoro odierni. "L'orario d'uscita delle elementari, dove va la più grande, e l'asilo, poi, è intorno alle 3.30 di pomeriggio. Ma chi è che esce dall'ufficio a quell'ora? Così bisogna pagare un doposcuola o, ancor peggio, una babysitter".

Senza contare che, alla fine, anche culturalmente il peso della gestione familiare ricade sempre sulla donna. Che spesso è lavoratrice tanto quanto il proprio compagno. "I bambini, quando hanno la febbre, vogliono sempre me. E intanto io mi occupo dei piccoli, della casa, del lavoro. Sfido chiunque a a fare la mamma oggi, è impossibile".

Se anche tu vuoi raccontare la tua storia di madre e lavoratrice scrivi a #UnaStoriaFanpage.

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