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Notizie sull'inchiesta sul Covid a Bergamo

“Medici costretti a riutilizzare le mascherine”: la prima fase della pandemia nelle carte dell’inchiesta di Bergamo

Gli operatori sanitari sarebbero stati costretti a riutilizzare le mascherine dopo essere stati a contatto con pazienti infetti, non avrebbero avuto una formazione adeguata e non ci sarebbe stata una mappatura dei contagi che potrebbero risalire già al 4 febbraio: ecco cosa sarebbe successo, secondo la Procura, nella prima fase della pandemia da Covid-19.
A cura di Ilaria Quattrone
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"Alcuni operatori sanitari raccontano di aver ricevuto istruzioni di riutilizzare le mascherine ffp2 dopo aver assistito malati infetti": questo è uno degli elementi che emerge nella perizia del microbiologo Andrea Crisanti, incaricato dalla Procura a eseguire una perizia sulla gestione della prima fase della pandemia da Covid-19 nella Bergamasca.

Anche grazie a questa la Procura ha indagato 19 persone, tra cui l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e l'ex assessore al Welfare Giulio Gallera.

All'interno di quella relazione è presente una ricostruzione cronologica di quanto accaduto nei primissimi giorni all'ospedale di Alzano Lombardo. La sera del 6 marzo 2020, per esempio, i medici militari trovarono il personale "disorientato per l'inarrestabile progressione dei contagi". Non solo: al di là della carenza di dispositivi di protezione individuale, notarono che gran parte degli operatori non era formato.

Pazienti positivi già il 4 febbraio 2020

Per l'esperto, in ogni caso, l'ospedale era già un cluster il 23 febbraio 2020 scorso e lo rimase fino all'intervento dei medici militari. Inoltre il focolaio che si era sviluppato all'interno non ha alimentato quello all'esterno. Nella sua perizia, Crisanti ha analizzato i dati degli infetti tra pazienti e operatori. Al 23 febbraio, già 41 persone erano infette, di queste trenta sono morte.

Considerato il periodo di incubazione, è possibile che già il 4 febbraio 2020 erano già presenti quattro pazienti positivi. Per quanto riguarda gli operatori, i primi contagi si sarebbero registrati poco tempo dopo e cioè il 10 febbraio. Questo significa che il virus sarebbe stato "introdotto nell’ospedale inizialmente da pazienti infetti residenti nei comuni limitrofi e successivamente si sia diffuso tra i sanitari".

Per il microbiologo, subito dopo la scoperta dei primi positivi, la direzione medica dell'ospedale e del Welfare Lombardia avrebbe dovuto disporre "una revisione clinica e l'esame radiologico Tac a tutti i pazienti" che presentavano sintomi di difficoltà respiratoria considerato poi che non c'erano ancora tamponi.

In questo modo si sarebbero identificati "almeno 25 casi sospetti tra i degenti" che sono poi morti nella settimana successiva. Una mappatura avrebbe svelato l'entità del contagio all'interno dell'ospedale. Questo potrebbe essere stato alimentato sia dai pazienti positivi che erano stati ricoverati, ma per i quali non c'era diagnosi che avrebbe potuto portare a un isolamento e sia dagli operatori sanitari che avevano pochi sintomi e che non sono stati subito identificati e quindi messi in quarantena.

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