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“Così ha ucciso il 40enne trovato carbonizzato nel bagagliaio”: il piano criminale di Cristian Mossali

Dai tentativi di depistaggio alla versione fornita agli inquirenti dai familiari: tutti gli indizi che hanno portato all’arresto di Cristian Mossali, accusato di aver ucciso e bruciato il corpo del 40enne trovato carbonizzato in un bagagliaio a Cologne (Brescia).
A cura di Ilaria Quattrone
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"Il Mossali si è dimostrato persona in grado di pianificare nei minimi dettagli un delitto di elevata gravità del tipo di quello concretamente commesso, del tutto insensibile al rispetto della vita altrui, pronto ad agire in prima persona uccidendo e agendo in modo crudele": è quanto scritto dal giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Davide Cristiano Mossali, conosciuto come Cristian, accusato di aver ucciso e bruciato il corpo di Rama Nexhat, il 40enne trovato carbonizzato nel bagagliaio di un'auto a Cologne (Brescia).

Mossali si proclama innocente

Mossali, proprietario di un'officina nella frazione di San Pancrazio, si trova in carcere a Brescia. È stato arrestato l'1 settembre scorso. Nella giornata di ieri, lunedì 5 settembre, assistito dai legali Stefano Forzani e Tomaso Spandrio, si è sottoposto all'interrogatorio davanti al gip.

Durante questo, pur proclamandosi innocente, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il giudice, alla luce degli indizi, ha deciso che Mossali debba rimanere in carcere. L'uomo è accusato di omicidio premeditato, distruzione di cadavere e detenzione illegale di armi.

Il messaggio inviato dalla vittima al figlio del meccanico

Secondo gli inquirenti, avrebbe attirato il 40enne nella sua officina. Lì, lo avrebbe ucciso con un colpo di pistola alla testa. Il movente sarebbe riconducibile a un prestito che Rama avrebbe fatto a Mossali. Una somma che la vittima avrebbe voluto indietro, tanto da avvicinare il figlio del 53enne.

La vittima infatti lo avrebbe contattato il 3 agosto scorso su Facebook. Nel messaggio, avrebbe scritto che il padre "non si stava comportando bene". Parole che avevano preoccupato molto il ragazzo considerato che era a conoscenza del trascorso criminale della vittima. Per questo motivo, avrebbe raccontato tutto al padre che lo aveva rassicurato.

Il prestito che la vittima aveva fatto a Mossali

Il messaggio su Facebook potrebbe essere stato inviato perché il meccanico, in base alle indagini, doveva restituire tra i venti e i trentamila euro, ai quali si aggiungevano ottomila euro. Cifre che l'uomo non sarebbe stato in grado di restituire. Questo avrebbe scatenato frequenti litigi tra i due, di cui l'ultimo avvenuto dieci giorni prima la sparizione della vittima.

Per gli inquirenti, Mossali avrebbe messo in piedi un piano dettagliato. La sera prima della morte del 40enne, avrebbe scritto ai suoi dipendenti chiedendo loro di non venire in officina la mattina del 29 agosto, ma di presentarsi solo al pomeriggio. Agli inquirenti avrebbe detto di averlo scritto perché "non avrebbero avuto nulla da fare".

Il piano ricostruito dagli inquirenti

In realtà potrebbe averlo chiesto proprio per avere campo libero e poter attuare il suo piano tranquillamente. Nexhat e Mossali si sono incontrati alle 11 in officina. Rama, che tutti conoscevano con il nome di "Nino", si sarebbe recato all'appuntamento con l'auto del fratello. Lo stesso che avrebbe raccontato agli inquirenti che avrebbe dovuto incontrare il 40enne dopo l'appuntamento con il meccanico.

I due avranno l'ultimo contatto, prima dell'incontro in officina. La vittima infatti non si è presentata all'appuntamento con il fratello che preoccupato aveva iniziato a chiamarlo e mandare messaggi, ma senza ricevere alcuna risposta. L'ultimo accesso su whatsapp risalirebbe infatti alle 11.03. Non sentendo il quarantenne, avrebbe contattato un amico in comune e poi si sarebbe recato proprio nell'officina del meccanico.

La versione di Mossali

Mossali gli avrebbe detto che lui e la vittima erano andati a prendere un caffè in un distributore di benzina e che poi Nexhat era andato via. Agli inquirenti invece il 53enne ha raccontato di aver incontrato la vittima fuori da un distributore di benzina. Nino avrebbe chiesto lui se fosse possibile fare il tagliando dell'auto perché il fratello sarebbe dovuto partire per il Kosovo.

Gli avrebbe quindi detto di essere molto impegnato, ma nonostante questo lo avrebbe comunque raggiunto in officina alle 11. Dopo avergli controllato le pastiglie e l'olio, gli avrebbe detto di non poter fare il tagliando. Alle 12 quindi la vittima sarebbe andata via dopodiché sarebbe andato a pranzo con la moglie e il figlio. Ed è proprio su questo elemento che si fonda parte dell'accusa.

Il pranzo con la famiglia

In un primo momento, moglie e figlio avrebbero dato la stessa versione dell'indagato: avrebbero infatti detto che l'uomo avrebbe pranzato con loro. Successivamente l'hanno smentita completamente affermando addirittura che fosse stato l'uomo ad aver suggerito loro di dire agli investigatori che si trovavano a pranzo insieme.

Per quanto riguarda i loro rapporti, Mossali ha raccontato agli inquirenti che i due si erano conosciuti otto mesi prima tramite un amico in comune. Si sarebbero messi in affari, in quanto il 40enne avrebbe venduto e acquistato auto. Relativamente al messaggio che la vittima avrebbe inviato al figlio, Mossali avrebbe chiesto lui di lasciare in pace il figlio.

Avrebbe inoltre ammesso che insieme al 40enne, il meccanico si sarebbe occupato di riciclaggio. Avrebbe poi confermato una discussione avuta con la vittima perché, a suo dire, questo avrebbe preteso la restituzione immediata di tremila euro. Somma che gli sarebbe stata prestata sempre dal 40enne.

La morte di Nexhat

Arriviamo al giorno in cui è morto Nexhat. Il figlio di Mossali ha riferito che il 29 agosto, intorno alle 10, Mossali sarebbe salito nell'appartamento di famiglia – che si trova sopra l'officina – e avrebbe detto al ragazzo di rimanere in casa finché non gli avesse dato il via libera. Il ragazzo, spaventato, si sarebbe chiuso a chiave e avrebbe abbassato gli oscuranti.

Alle 12.10 sarebbe entrato nuovamente in casa e avrebbe chiesto al figlio di aspettare ancora altri quindici minuti prima di uscire. Tempo che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato sufficiente per eliminare le tracce e caricare il corpo della vittima sull'auto: sempre al figlio, avrebbe poi chiesto di andarlo a prendere in un distributore. Dopodiché avrebbe cambiato idea, dicendo che non era più fondamentale.

Il figlio, che avrebbe anche ricordato che il padre possedeva una pistola in un comodino della camera da letto, avrebbe poi rivelato di aver visto il padre altre due volte. L'ultima, avvenuta intorno alle 17.30, gli aveva comunicato che "Nino era morto". Infine l'indagato avrebbe chiesto al figlio di formattare le schede delle telecamere di sicurezza.

Le immagini riprese dalle telecamere

A questi elementi si sono aggiunte le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza: da queste, si vedeva che alle 11 Nexhat era entrato in officina. E in questo lasso di tempo che il 40enne potrebbe essere stato ucciso: il colpo di pistola potrebbe non essere stato sentito perché c'erano alcuni lavori con martelli pneumatici.

Un'ora e venta dopo circa, si vedeva l'auto della vittima uscire dal piazzale con una persona a bordo che però somigliava a Mossali. Stando alle indagini, il meccanico probabilmente potrebbe essere tornato in officina a piedi e potrebbe essere uscito con il furgone per nascondere l'arma usata.

In quelle ore gli stessi dipendenti di Mossali – che avrebbero anche raccontato di aver visto in quei giorni una tanica di benzina in officina – e il fratello della vittima che si era recato in officina per chiedere informazioni sul 40enne, avevano notato che il meccanico era molto agitato, sudato e con i capelli slegati una cosa che non era tipicamente sua.

Uno dei meccanici avrebbe anche sentito un odore molto forte di ammoniaca e acido. Non solo: sul pavimento e tavolo, sarebbero stati trovati anche alcuni aloni, tipici di azioni di strofinamento forse attuate per togliere tracce ematiche rimaste.

La decisione del giudice

Nell'ordinanza si legge quindi che il movente potrebbe essere riconducibile alle continue richieste di restituzione del denaro. Inoltre l'aver contattato il figlio potrebbe aver destabilizzato l'indagato: questa situazione "deve essere allora divenuta insopportabile per l'indagato che ha deciso di agire in modo più sbrigativo, togliendo di mezzo una volta per tutte il Nexhat, che vedeva quale fonte di minaccia per suo figlio e per la sua intera famiglia e che, in ogni caso, gli faceva pressioni per ottenere la restituzione di ingenti somme di denaro".

Per il giudice quindi non possono esserci dubbi nella volontà dell'indagato "di voler procurare la morte a terzi" considerata sia "la potenza offensiva dell'arma utilizzata", "la direzione del colpo sparato" e "la zona corporea presa di mira". A questo si aggiunge "la successiva distruzione del cadavere non lasciano alcun dubbio in ordine alla volontà omicidiaria in capo all'agente".

Nell'ordinanza di custodia cautelare, si legge inoltre che "il palesato intento criminoso sorto il giorno precedente ai fatti, l'accurata preparazione del delitto e il lasso di tempo trascorso tra il sorgere del proposito criminoso e la commissione del fatto" sarebbero "elementi tali da far ritenere sussistente l'aggravante della premeditazione".

Infine, per il giudice "c'è il concreto e attuale pericolo di fuga in capo all'indagato". Dalla personalità dell'indagato, desunta dalle stesse modalità, che denotano "un assoluto disprezzo per l'integrità fisica e la vita dei terzi e una totale incapacità di tenere a freno i propri istinti violenti e aggressivi" è possibile per il giudice che possa "compiere ulteriori delitti simili".

Sempre per il giudice, l'indagato avrebbe dimostrato "una spiccata attitudine a incidere pesantemente sul procedimento di accertamento della verità e sulle investigazioni, di concedere i suoi familiari a fornire una falsa versione dei fatti al fine di essere coperto da costoro, sicché è più probabile che egli, ove rimesso in libertà, possa nuovamente avvicinarli per i convincere i suoi familiari a fornire una falsa versione dei fatti al fine di essere coperto da costoro".

La misura è quindi, si legge nell'ordinanza, l'unica "in grado di contenere la notevolissima spinta criminale del prevenuto".

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