Case di comunità escluse dalle nuove regole sulle cure domiciliari: abbandonati i pazienti più fragili
Domani, 1 aprile 2023, entrerà in vigore la delibera della Regione Lombardia che ridefinisce il quadro relativo all'assistenza domiciliare integrata, ossia le cure rivolte alle persone più fragili che non possono accedere ai presidi sanitari. Tra le novità più importanti, c'è quella relativa ai rimborsi destinati agli istituti privati accreditati con la sanità pubblica. Questi saranno, infatti, calcolati sul numero di accessi, e non più sulla durata effettiva della prestazione domiciliare. Inoltre, come evidenziato a Fanpage.it dalla consigliera regionale del Pd Carmela Rozza, il testo evidenzia un altro problema serio: "Le case di comunità non esistono".
Manca la connessione con il territorio
Le case di comunità sono le nuove strutture socio-sanitarie che sono entrate a far parte del servizio sanitario regionale lombardo per garantire una maggiore presenza sul territorio. Tuttavia, in questa delibera che dovrebbe essere dedicata proprio al supporto domiciliare del cittadino, sono i grandi assenti.
"Si parla solo di Asst e Ats", spiega Rozza consultando il testo presentato mesi fa come provvisorio ma che domani entrerà in vigore, "l'accreditamento delle strutture private è in capo all'Ats (come quella di Milano, ndr), che è anche soggetto controllore. Mentre è l'Asst (ad esempio la Fatebenefratelli Sacco, ndr) a gestire il lavoro operativo". Quindi, riassume la consigliera comunale, "se io vengo dimessa da un ospedale, ma abito in un quartiere dall'altra parte della città, chi prende in carico il paziente per far partire l'attività di domiciliarità? Dove sono le connessioni con il territorio?".
Nessuno controllerà la regolarità dell'assistenza
In più, la nuova delibera non risolverebbe nemmeno il problema dei controlli. Il nuovo sistema di accreditamento prevede che il rimborso sarà calcolato sul numero di accessi e non sulla durata della prestazione sanitaria. Se questa dura almeno 20 minuti, sarà remunerata come se fosse durata un'ora.
"È Ats che deve controllare l'attività di tutta la città, ma come potrebbe mai farlo", si domanda Rozza, "in realtà non ci saranno controlli, oppure li faranno solo sulla carta come è sempre stato". Ancora una volta, le case di comunità avrebbero potuto giocare un ruolo fondamentale, non solo nel gestire l'assistenza domiciliare per chi ne ha bisogno, ma anche per controllare che questa avvenga nel modo più corretto.
Il vero problema, quindi, non sarebbe tanto il cambio di criterio di accreditamento che comunque mette in difficoltà anche le strutture private sia a livello economico che di personale, ma come l'assistenza domiciliare viene applicata e controllata. "Non si può ignorare il fatto che ci sono delle strutture nuove e diverse", commenta Rozza che poi conclude sottolineando come tutto questo può creare difficoltà in una città come Milano, ma che nei comuni sparsi per il territorio lombardo "diventa un problema molto più grande".