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Opinioni

Metà della terra per salvare il futuro della vita, la proposta del biologo Edward Wilson

Nell’ultimo saggio dello studioso americano, due volte vincitore del Premio Pulitzer, la proposta di affidare alla natura metà della superficie della terra: “Solo così possiamo sperare di salvare l’immensità delle forme di vita che la compongono.”
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Dettaglio dalla copertina di "Salvare il futuro della terra" (Codice Edizioni)
Dettaglio dalla copertina di "Salvare il futuro della terra" (Codice Edizioni)

Con la pubblicazione nel 1975 del saggio "Sociobiology: The New Synthesis", Edward Osborne Wilson è diventato per tutti, avversari e sostenitori, il simbolo vivente dell'applicazione della teoria evoluzionistica al comportamento sociale. Da allora ha vinto due Pulitzer nella sezione non-fiction, pubblicato diversi saggi, articoli e un romanzo caso letterario del 2010 negli Stati Uniti, "Anthill", in cui ha raccontato la lotta tra formiche religiose e atee, frutto della sua passione per l'osservazione del comportamento animale.

Con queste credenziali, dunque, è da poco uscito in Italia, nella traduzione curata da da Codice Edizioni, "Metà della terra. Salvare il futuro della vita" (pp. 230, euro 21), l'ultimo atto di una trilogia in cui Wilson ha raccontato il modo in cui gli esseri umani sono diventati i dominatori dell’Antropocene, con conseguenze inimmaginabili sulla nostra vita e su quella del mondo naturale. L'obiettivo a cui Wilson mira con questo volume è sensibilizzare le popolazioni e i governi mondiali affinché scelgano di aumentare lo spazio attualmente dedicato alla natura, affidandogli metà della superficie della terra, così da salvarne la biodiversità.

La perdita della biodiversità

La premessa da cui parte il ragionamento su cui si basa il saggio e che ne struttura la proposta è spiegata sin dalle prime pagine:

Per la prima volta nella storia, tra coloro che riescono a prevedere ciò che avverrà tra più di un decennio, si è sviluppata la convinzione che stiamo giocando un finale di partita globale. La presa dell’umanità sul pianeta non è salda, anzi, diventa sempre più debole. La popolazione umana è troppo numerosa per sopravvivere al sicuro e in condizioni di benessere. L’acqua potabile è sempre più scarsa e l’atmosfera e i mari sono sempre più inquinati a causa di ciò che è avvenuto sulla terraferma. Il clima si sta modificando in modi non propizi alla vita, tranne che per i microbi, le meduse e i funghi. Per molte specie è già fatale.

Secondo il biologo americano, la conseguenza di una mancata conoscenza della biodiversità globale da parte degli esseri umani, ma soprattutto la sua mancata azione per proteggerla, farà sì che presto la maggior parte delle specie che compongono la vita sulla terra andranno perse. La proposta di offrire una prima soluzione di emergenza, proporzionata alla grandezza del problema, è quella di destinare metà della superficie della terra alla natura, l'unica maniera di salvare la parte viva dell’ambiente e raggiungere la stabilizzazione richiesta per la nostra stessa sopravvivenza, perché oggigiorno il fattore cruciale per la vita e la morte delle specie è la quantità di habitat adeguati rimasti. Una questione di spazio, insomma.

Edward O. Wilson
Edward O. Wilson

Perché proprio metà?

Siccome l’attuale tasso di estinzione delle specie conosciute è cresciuto di quasi mille volte e sta accelerando, nonostante tutti gli sforzi del movimento globale per la conservazione, non resta che affidarsi a criteri scientifici per stabilire lo spazio necessario per salvare la biodiversità. Come mai metà della terra, dunque, ce lo spiega direttamente l'autore:

Perché grandi appezzamenti di terreno, che siano già esistenti o possano essere creati a partire da corridoi che collegano appezzamenti più piccoli, ospitano a un livello sostenibile un numero molto maggiore di ecosistemi e quindi di specie. Al crescere delle dimensioni delle riserve, cresce anche la varietà delle forme di vita che vi sopravvivono. (…) Con metà della superficie destinata a riserva, i calcoli relativi agli ecosistemi esistenti indicano che si stabilizzerebbe più dell’80 per cento delle specie.

D'altro canto, quella che a molti potrebbe sembrare un'utopia, in realtà sta già accadendo, anche se a piccoli passi. Al momento attuale, ci spiega il fondatore della sociobiologia, tutti gli stati sovrani del mondo hanno un sistema di aree protette di qualche tipo. Nel complesso, le riserve sono circa 161.000 sulla terraferma e 6500 in acque marine. Secondo il WDPA (World Database on Protected Areas), nel 2015 occupavano poco meno del 15 per cento della superficie terrestre e il 2,8 per cento della superficie degli oceani. Per salvare la vita sulla terra, insomma, mancherebbe ancora un 35 per cento di aree protette. Molto, ma non impossibile.

Una proposta fattibile

La soluzione “Metà della Terra”, dunque, non implicherebbe una separazione del pianeta in due emisferi o in altre parti grandi come continenti o Stati-nazione, né comporterebbe un cambiamento di proprietà di una o più parti, ma soltanto l’accordo che queste possano continuare a esistere intatte. Ciò che richiede è riservare alla natura, e quindi ai milioni di altre specie ancora vive, aree protette quanto più possibile estese.

I veri ostacoli al raggiungimento di quest'obiettivo, ci spiega Wilson, sono due. Il primo è la crescita demografica che impedirebbe oggettivamente di riservare metà del pianeta della terra alla natura. Il superamento di questo problema consisterebbe nel favorire un progressivo miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni meno sviluppate, statisticamente quelle con i più alti tassi di crescita demografica.

In tutti i paesi in cui le donne hanno raggiunto un certo grado di indipendenza sociale ed economica la loro fecondità media è diminuita per scelta personale di una quantità corrispondente. In Europa e tra le donne nate negli Stati Uniti è già scesa al di sotto della soglia di crescita zero di 2,1 figli che sopravvivono fino alla maturità per ogni donna.

In secondo luogo, il miglioramento delle condizioni di vita, rileva Wilson anticipando possibili critiche alla sua teoria, favorirà l'aumento dei consumi pro capite, il che porterà con sé il rischio di piegare la volontà di agire per la conservazione della natura su larga scala. Si tratterebbe di uno scenario probabile, anzi, quasi certo, se le componenti dell’impronta ecologica restassero identiche a quelle attuali. Come risolvere, dunque, una simile antinomia? Qui l'ottimismo darwiniano del biologo statunitense trova conforto nell'idea che la crescita dei consumi, in futuro, avrà bisogno sempre di meno spazio fisico, che quindi potrà essere liberato per la salvaguardia della biodiversità.

La ragione sta nell’evoluzione del sistema del libero mercato e nel fatto che a modellarlo è sempre di più l’alta tecnologia. I prodotti che vincono la concorrenza oggi, e continueranno sempre a farlo, sono quelli meno costosi da produrre e da pubblicizzare, che hanno bisogno di riparazioni e sostituzioni meno frequenti e offrono ottime prestazioni con una quantità minima di energia.

Come dire, la scienza vi ha offerto tutte le condizioni teoriche per salvare il futuro della vita. Non resta che convincere i potenti del mondo a mettersi d'accordo tra loro e passare all'azione.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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