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Ma “mannaggia” è una parola così grave?

Facciamo il punto sul “mannaggia” profano che è costato a Predolin l’esclusione dal Grande Fratello vip.
A cura di Giorgio Moretti
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Ci sono tre uomini seduti a un tavolo, due giovani, uno non giovane. Parlano a mezza voce, masticando le parole in maniera un po' coperta, sorridono, ridono, ammiccano. Sono vestiti come ci si trova vestiti intorno ai tavoli di plastica del bar sul mare. In mezzo ai loro scambi distesi, l'uomo più anziano dà colore al suo sentimento con quella che tecnicamente è un'interiezione: "mannaggia". La scena è ripresa da telecamere attente e trasmessa in un programma televisivo seguito da milioni di spettatori.

Ora, la parola "mannaggia" in un'esclamazione significa disappunto, contrarietà. Può essere pronunciata da sola: "Giuseppe è in ritardo" "Mannaggia, ha lui le chiavi". In altri casi può essere pronunciata associandola a qualcuno e rivolgendogliela: "Mannaggia a lui, ha lui le chiavi". Può anche essere rivolta a enti astratti "Mannaggia la miseria, ha lui le chiavi" o essere accompagnata da associazioni prive di significato evidente "Mannaggia li pescetti", "Mannaggia alla pupazza".

Non ci sono grandi dubbi che sia un'imprecazione, una maledizione l'origine di questa parola. "Aggia" è una variante meridionale di "abbia" (voce del verbo avere), e "mannaggia" sarebbe quindi l'augurio di un male o di un malanno: "male ne abbia", o secondo certi studiosi "malanno abbia".

Però nell'uso comune questo "mannaggia", ripronunciato milioni di volte per lunghissimo tempo, ha perso gran parte della carica negativa che poteva avere in principio. Se ancora è un'imprecazione, è comunque diventata molto morbida, quasi eufemistica, e ha perso il contatto con l'augurio del male. Un po' come è successo all'esclamazione "caspita", che è tecnicamente sarebbe un'alterazione di "cazzo". Facendo un confronto, fra "mannaggia a te" e "accidenti a te" è evidente quale sia la formula più innocua.

Il problema è che l'uomo seduto al tavolo, in diretta, ha associato il "mannaggia" al nome della Madonna. Ci sono tutte le ragioni di considerarla una blasfemia: tradizionalmente i nomi sacri dovrebbero essere evocati solo con pie intenzioni (scherza coi fanti ma non scherzar coi santi). Per il più osservante anche espressioni come "Madonna che fico" non sono accettabili. Figuriamoci se un nome del genere viene evocato in una maledizione ripulita! Nel valutare la questione dobbiamo però tener conto di alcune circostanze, per considerare se la censura di un'espressione del genere sia giusta o meno.

Un uso smaliziato del "mannaggia" è molto diffuso e popolare, e il bonario, spesso ironico disappunto che significa di rado si riferisce al nome evocato. Questo spesso è un semplice rafforzativo. Dico "mannaggia la miseria" anche quando miseria e povertà non c'entrano assolutamente niente, richiamo la miseria solo per colore. Anche il riferimento smaliziato alla Madonna è molto diffuso e popolare, e nella stragrande maggioranza dei casi ella non c'entra niente con la frase pronunciata, avendo la sola funzione di rafforzare il concetto.
Il contesto di tre uomini seduti al tavolo in ciabatte che parlano ridendo a mezza voce è il luogo naturale delle espressioni linguistiche più grevi e smaliziate ma anche ingenue e poco sorvegliate. Pare un caso da manuale.
Ma i reality show sono delle chimere, degli ibridi: vogliono mostrare situazioni vere ma con i limiti della diretta. E questo è un problema anche dal punto di vista linguistico, perché proprio nel momento in cui la tanto desiderata situazione vera si viene a creare deve essere censurata.

Il problema non viene a esistere sono se Marco Predolin dice "mannaggia" riferendosi alla Madonna. Il problema è nella struttura del Grande Fratello, vip o non vip. Si vogliono mettere davanti alle telecamere situazioni "reali" ma patinate, adatte ai grandi e ai piccini secondo una concezione incoerente dell'accettabile e dell'inaccettabile. Il risultato, piuttosto misero? Una devozione di reazione: si fa un programma che secondo qualunque metro religioso ha ben poco di non osceno, ma è solo una citazione del sacro inopportuna e ingenua a scuotere gli animi.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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