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L’invecchiamento della popolazione rallenta l’economia: l’Eurozona come il Giappone

La stagnazione economica e l’inflazione sono direttamente collegate all’invecchiamento della popolazione. Lo afferma uno studio di PIMCO, azienda americana che gestisce investimenti internazionali. Le cause del “decennio perduto” giapponese si starebbero manifestando anche nei paesi dell’Eurozona, e sono da ritrovare in una popolazione sempre più anziana, che non è più forza lavoro e grava sulla spesa pubblica.
A cura di Annalisa Girardi
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Demografia, inflazione e stagnazione economica sono concetti che interagiscono fra loro ad un livello più stretto di quanto comunemente si pensi. Uno studio di PIMCO (Pacific Investment Management Company), un’azienda americana che gestisce investimenti a livello globale, ha collegato due fenomeni che hanno interessato l’Eurozona negli ultimi anni, la caduta degli investimenti e la conseguente assenza di dinamicità economica, all’invecchiamento della popolazione. Risultato? Più la popolazione avanza negli anni, più l’economia rallenta. 

Il decennio perduto del Giappone

La cosa più semplice che si possa fare per capire il nesso è guardare al Giappone. Infatti, circa 30 anni fa, il paese del Sol Levante si è ritrovato ad affrontare una situazione molto simile a quella che si sta verificando ora in Europa. Negli anni Novanta, dopo decenni di crescita ad un ritmo dell’8%, tra il 1992 e il 1999 il Giappone vide il proprio PIL aumentare ad un tasso dello 0,8%. Fra i motivi della caduta vi erano la pesantezza del sistema burocratico, una struttura politica fragile e un mercato interno ancora non del tutto sviluppato. Inoltre, a causa delle politiche degli anni Ottanta che avevano abbassato notevolmente il costo del denaro e incentivato al risparmio, il paese si ritrovò intrappolato in un enorme cumulo di liquidità. Ciò facilitò le speculazioni e nel 1997, il Giappone entrò in una crisi finanziaria da cui non è mai veramente riuscito a risollevarsi.

Un fattore che ha ostacolato i tentativi del governo per stimolare l’economia risiede nell’età sempre più elevata della popolazione nipponica. L’invecchiamento della forza lavoro ha causato una naturale riduzione della stessa, incidendo sulla produttività del paese. Dall’altra parte, il numero maggiore di pensionati ha gravato sulla spesa pubblica. Un quadro demografico di questo tipo si è dimostrato essere una seria minaccia all’economia giapponese che, da ormai oltre 20 anni, è da considerarsi stagnante. Un simile declino della manodopera dovuto all’anzianità della popolazione sta avvenendo anche in molti paesi dell’Eurozona, e ciò potrebbe incidere nel PIL dell’Unione. Questo è esattamente il punto centrale dello studio condotto da PIMCO, che ha abbracciato la cosiddetta “secular stagnation hypothesis”, una teoria per cui invecchiare è sinonimo di risparmiare. Più si risparmia, meno si investe. E l’economia si immobilizza.

Le politiche espansive della BCE

Uno scenario di stasi economica alla giapponese nel cuore dell’UE è stato previsto da vari economisti e sarà uno dei principali problemi del successore di Mario Draghi alla presidenza della Banca Centrale Europea (BCE). Durante tutto il suo mandato Draghi, che resterà a capo dell’Eurotower a Francoforte fino al prossimo 31 ottobre, ha portato avanti una linea espansiva ed ha adottato misure non convenzionali in politica monetaria, proprio per arginare la stagnazione. Nell’ultima riunione della BCE, il Consiglio direttivo ha riaffermato la scelta di tenere i tassi di interesse fermi allo 0%, confermando Draghi come l’unico presidente a non averli mai alzati per tutta la durata del suo incarico. Inoltre, alla fine del meeting è stato annunciato il terzo round di rifinanziamenti a tassi agevolati per le banche, i Tltro (targeted longer-term refinancing operations) da settembre 2019 fino a marzo 2021. I tassi di interesse a costo zero e i maxi-prestiti iper-vantaggiosi per le banche, sono un aperto e importante appoggio all’economia dell’Eurozona, le cui stime di crescita sono state tagliate a inizio anno.

Le misure speciali hanno tra i propri obiettivi anche l’inflazione, un altro tassello che va a collegare la stagnazione economica ad una popolazione anziana. Partiamo dalle basi: per inflazione si intende un esteso aumento dei prezzi che risulta in una diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Il suo contrario è la deflazione, che rappresenta invece una diminuzione dei prezzi e un conseguente aumento del potere d’acquisto. Certo, associando l’inflazione alla crisi della Repubblica di Weimar negli anni Venti o al Venezuela di Nicolás Maduro, in cui intere mazzette di banconote non valgono un pezzo di pane, si penserà ad un panorama totalmente negativo. La questione, però, è più complessa. Secondo l’economia mainstream contemporanea, una quantità moderata di inflazione è da considerarsi infatti positiva. La BCE, che sposa questa scuola di pensiero, ha fissato come obiettivo per l’Eurozona un tasso di inflazione che si avvicini, ma non superi, il 2%. Ciò permette di tenere i prezzi stabili, e quindi l’andamento del mercato prevedibile, e allo stesso tempo allontana il rischio di deflazione.

Perché è un problema se i prezzi diminuiscono?

Un’inflazione troppo bassa, pericolosamente vicina alla deflazione, è da considerarsi temibile al pari dell’iperinflazione. Infatti, se i prezzi calano troppo, diminuiranno anche gli stipendi e si creerà un deterrente alla spesa. Ossia: perché comprare una casa o un’automobile oggi, se domani probabilmente costerà di meno? Questo meccanismo, nel lungo periodo bloccherà la crescita economica, paralizzando i mercati.

Negli ultimi anni le economie dell’Eurozona hanno faticato a raggiungere l’obiettivo del 2%, restando in prossimità di un tasso all’1,1%. Fra i motivi di questa difficoltà ritroviamo l’invecchiamento della popolazione. La tendenza a non spendere, tipica di una popolazione anziana, e salari generalmente più bassi, dovuti ad un mercato del lavoro che si è spostato nei paesi in via di sviluppo, risentendo allo stesso tempo degli strascichi della crisi dello scorso decennio che ha gravato sull’occupazione, ha determinato una contrazione generale della domanda. Allo stesso tempo però, l’avvento delle nuove tecnologie sul mercato, la globalizzazione e la crescita dell’export cinese a basso costo, ha aumentato l’offerta e tenuto i prezzi bassi.

Uno scompenso di questo tipo porta le banche centrali ad adottare misure non convenzionali per riportare il tasso di inflazione ad un livello auspicabile, mettendo quindi in atto politiche espansive che stimolino l’economia. Alcuni analisti del gruppo bancario olandese ING hanno stimato che l’Eurozona non entrerà nella spirale di stagnazione giapponese, poiché la BCE ha reagito tempestivamente con questo tipo di operazioni. Tuttavia, una fase temporanea di rallentamento sembra sempre più inevitabile. L’ennesimo anno di tassi di interesse ai minimi storici serve a ricordarcelo.

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