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Lingua italiana, nelle facoltà è sostituita dall’inglese: la Corte costituzionale dice No

Nelle nostre università si assiste ad un graduale proliferare di corsi in lingua inglese, sopratutto in ambito scientifico disciplinare: è dovuta intervenire la Corte costituzionale per ribadire l’indiscutibile centralità della lingua italiana.
A cura di Silvia Buffo
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Nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha emesso una sentenza (42/2017) fondamentale riguardo l'uso della lingua italiana nell'insegnamento universitario, in seguito ad una proposta del 2012 da parte del Politecnico di Milano, la cui dirigenza avrebbe voluto avviare corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca in sola lingua inglese. Ad opporsi fortemente è stato un gruppo di docenti, che si è battuto per la centralità della lingua italiana nell'insegnamento universitario, suscitando poi la giusta reazione dagli organi di competenza.

La Corte costituzionale si è opposta ai corsi in sola lingua inglese: calpestano l'identità nazionale

La centralità della lingua nazionale deve rimanere indiscussa ma è dovuta intervenire la Corte costituzionale per chiarire che, anche laddove le esigenze didattiche e scientifiche spingano verso l'introduzione di corsi in lingua inglese, l'italiano resterà la lingua di base nell'insegnamento universitario.

La lingua italiana è, nella sua ufficialità, e quindi primazia, vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall'art. 9 Cost. Il plurilinguismo della società contemporanea, l'uso d'una specifica lingua in determinati ambiti del sapere umano, la diffusione a livello globale d'una o più lingue sono tutti fenomeni che, ormai penetrati nella vita dell'ordinamento costituzionale, affiancano la lingua nazionale nei più diversi campi. Tali fenomeni, tuttavia, non debbono costringere quest'ultima in una posizione di marginalità: al contrario, e anzi proprio in virtù della loro emersione, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì – lungi dall'essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità – diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell'identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell'italiano come bene culturale in sé.

Auspicabile che si intervenga anche sulla tutela dei dipartimenti di Italianistica

Garantire la centralità della nostra lingua non vuol dire opporsi all'introduzione delle lingue straniere ma riconoscere come prioritaria la nostra identità linguistica, che negli ultimi anni è stata messa troppo in secondo piano. Basti pensare alla soppressione dei Dipartimenti di italianistica, in seguito alla legge Gelmini, che per la necessità di far quadrare i bilanci, ha accorpato diversi dipartimenti e discipline in un triste agglomerato ibrido. Questo non avviene altrove, nei paesi civili, dove i dipartimenti legati alla lingua nazionale sono indipendenti e riconosciuti come di centrale importanza all'interno del panorama universitario.

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