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Licenziare un dipendente per aumentare il profitto d’impresa è legittimo

I giudici della Suprema Corte, in una sentenza depositata lo scorso 7 dicembre, sostengono sia legittimo che “ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa”.
A cura di Charlotte Matteini
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La sentenza 25201 della Cassazione depositata lo scorso 7 dicembre e ripresa dal quotidiano Italia Oggi sostiene la legittimità dei licenziamenti non solo in caso di difficoltà economica dell'azienda, ma anche per "una migliore efficienza gestionale" del personale e per "determinare un incremento della redditività" dell'impresa.

Insomma, tradotto in soldoni, secondo questa recente pronuncia dei Supremi Giudici, è possibile licenziare un dipendente anche solo per permettere all'azienda di guadagnare di più. Una sentenza che farà sicuramente sicuramente discutere, soprattutto perché destinata a fare giurisprudenza, come si suol dire, e quindi a essere presa in considerazione da tribunali di ogni ordine e grado per dirimere future controversie nel campo del diritto del lavoro.

Nel caso specifico, i giudici della Cassazione hanno analizzato il caso relativo a un dirigente licenziato dall'azienda in cui lavorava per motivazioni che esulavano le mere esigenze dovute alla crisi economica. La causa promossa dal dirigente ha prodotto due sentenze tra loro in contrasto: in primo grado il giudice ha stabilito che il licenziamento era assolutamente legittimo ed "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di rendere più snella la catena di comando e quindi la gestione aziendale", mentre in secondo grado il licenziamento è stato ritenuto illegittimo a causa della mancanza di una vera necessità economica ed essendo "motivato soltanto dalla riduzione dei costi e quindi dal mero incremento del profitto".

A dirimere la controversia è quindi intervenuta la Cassazione, la quale ha sostenuto – basando la propria pronuncia soprattutto sull'articolo 41 della Costituzione che tutela la libera iniziativa economica dei privati, oltre a un serie di provvedimenti comunitari sulla stessa lunghezza d'onda – che non sia affatto necessaria la presenza di una crisi aziendale o di un grave dissesto economico per poter procedere al licenziamento di un dipendente e che anzi il licenziamento può essere giustificato anche con la necessità di migliorare l'efficienza dell'impresa o per aumentare i margini di profitto.

"Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall'imprenditore", si legge nella sentenza della Cassazione.

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