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Le sconfitte dell’Isis e il ritorno di al Qaeda: la lotta al terrorismo non è finita

L’Isis ha recentemente subito grandi sconfitte e il progetto di “espansione” in Afghanistan e Pakistan sta sfumando. Al Qaeda è alla finestra, in attesa di prendersi la propria rivincita in una regione dove i taliban sono sopravvissuti dapprima all’invasione statunitense, prima ancora a quella sovietica.
A cura di Augusto Rubei
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Partiamo dai nomi. “Talebano” in arabo significa studente di una scuola coranica. Per “Shura” si intende la “consultazione” che portò all'identificazione di ‘Uthmān b. ‘Affān, terzo califfo dell’Islam, anche se oggi il termine viene usato per indicare uno specifico organo collegiale. I luoghi: Pakistan, dove risiede la shura quella di Quetta, una delle più importanti camere di consiglio della galassia wahabita, presieduta da una dozzina di signori della guerra, tutti veterani del regime talebano. Alcuni sono morti, altri sono ancora vivi e vegeti. Girano indisturbati nel Paese, nonostante Islamabad sia un alleato degli Stati Uniti. Segno che i rapporti di forza tra le parti sono controversi. Infine le persone: Osama bin Laden, leader di al Qaeda fino alla sua morte, nel 2011, ad Abbottabad. Questo per dire che il link tra i qaedisti e il Pakistan è storico, e tutt'ora in piedi. Dietro c'è una teorizzazione che col tempo ha raccolto elementi di altre correnti religiose islamiche, appoggiandosi di volta in volta al "clero" locale, come i deobandi e i talebani, senza mai instaurare una relazione di dipendenza. Sono passati per Quetta volti noti: il Mullah Akhtar Mohammad Osmani e il Mullah Dadullah, ma soprattutto al Mullah Mohammad Omar, l'”Amir al-Mumineen” (“Comandante dei Fedeli”), leader indiscusso del movimento prima della sua scomparsa.

Proprio la morte del Mullah Omar è un episodio da non sottovalutare, perché è in quel momento che lo Stato Islamico dichiara guerra ai talebani e poggia la prima pietra per la realizzazione dell’emirato islamico del Khorasan. La ragione è di natura teologica: il Mullah Omar era l'unico "Amir al-Mumineen" della sfera jihadista che poteva sfidare le credenziali del neo-Califfo di Mosul. Morto lui, non c'era nessun altro. Così città dopo città, Paese dopo Paese, al Baghdadi inizia ad allargare il perimetro del terrore. Mentre al Qaeda punta tutto sulla nuova filiale in India (Aqis) affidata ad Asim Umar, un personaggio enigmatico sul quale oggi si sa molto poco. E di tanto in tanto qualche colpo qua e là (vedi Charlie Hebdo), giusto per tenere alto il consenso intorno al quartier generale yemenita. Quello più forte.

Dalla proclamazione del Califfato di Mosul si è aperta una fase di enormi cambiamenti nel mondo jihadista, con un processo di apostasia che negli ultimi anni ha visto guerriglieri saltare da cartello in cartello. Milizie cambiare bandiera a seconda dei propri interessi. Un esempio su tutti Boko Haram in Nigeria, passata dai finanziamenti di al Qaeda nella Penisola Arabica a quelli dell’Isis. Un secondo esempio al Shabaab in Somalia. Il risultato è stato sempre lo stesso: il terrore. Ma le dinamiche interne ad ogni singola organizzazione hanno un peso, indicano il suo potenziale di sviluppo, le capacità di crescere e rigenerarsi sul territorio. Per questo era importante, allora, sottolineare l'arresto del nuovo leader di Boko Haram Abu Musab al-Barnawi, nominato ai vertici dell'organizzazione da al Baghdadi in persona. Perché la sua cattura metteva in risalto la prima grande sconfitta del Califfato in Africa, dove il franchising qaedista continua a essere dominante.

E per questo è cruciale, oggi, soffermarsi sull'analisi delle facili rivendicazioni dello Stato Islamico. Prendiamo Las Vegas: l'agenzia di stampa Amaq, organo ufficiale del Califfato, ha rivendicato la responsabilità dell'attacco poche ore dopo. Prima un comunicato stampa, in cui l’Isis usava le stesse parole della rivendicazione per gli accoltellamenti di Marsiglia, avvenuti il giorno prima. Poi una seconda nota stampa, in cui si precisava che il killer, Stephen Paddock, pensionato locale di 64 anni, aveva "abbracciato l'Islam da diversi mesi". Nessun elemento in più. Nessuna fotografia o video. Se Raqqa avesse avuto informazioni più precise sul "soldato" Paddock, le avrebbe usate. Non lo ha fatto, il che fa pensare che non sapesse chi fosse.

Elementi che indicano un chiaro segno di debolezza. E' sufficiente metterli assieme per leggere un'iniziale ascesa dello Stato islamico, e il suo successivo declino. Nella lunga guerra per il jihad globale sopravvivono le radici più robuste. Il retaggio storico-culturale di un popolo, a fronte di qualche ordalia mediatica sul web, torna ad essere determinante. Il Pakistan è una di quelle terre sempreverdi per i terroristi. La cintura tribale del Waziristan, che divide il Paese dall'Afghanistan, è in un certo senso la culla del qaedismo. Possono aprirsi periodi di magra, ma prima o poi tutto torna come prima. Bisogna solo aspettare il momento giusto. Come questo.

Nelle ultime settimane è infatti spuntata un'altra cellula terroristica, secondo le autorità locali mandante di cinque attacchi nella provincia di Karachi e del Baluchistan. Nome: Ansar al-Sharia Pakistan (ASP). Luogo: questa volta non occorre specificarlo. Persone: Sheheryar Abdullah Hashmi, la mente, ora agli arresti. Un laureato in Fisica applicata, uno di quelli che ha studiato prima di arruolarsi. E' stato lui a dichiarare l'affiliazione del gruppo ad al Qaeda, ignorando le avances dello Stato islamico. E a differenza dei "lupi solitari" di Nizza, Berlino e Londra, i combattenti del gruppo sono soggetti formati e addestrati. Alcuni si sono fatti le ossa in Siria tra le fila dell’Isis e, ironia del destino, oggi hanno riabbracciato l’ala qaedista. La nascita di Ansar al-Sharia Pakistan (che al momento non sembra aver alcun legame con le omonime milizie tunisine e libiche) dimostra che al Zawahiri ha intenzione di riprendere quota.

L'Isis ha recentemente subito grandi sconfitte e il progetto di un Wilayat del Khorasan in Afghanistan e Pakistan sta sfumando. Al Qaeda è alla finestra, in attesa di prendersi la propria rivincita in una regione dove i taliban sono sopravvissuti dapprima all'invasione statunitense, prima ancora a quella sovietica. Hanno un carattere duro, schiena dritta e non solo hanno saputo resistere alle ingerenze del Califfato, ma in tutto questo tempo sono riusciti ad adeguare e a ri-modellare le proprie tattiche di combattimento. Non è da escludere che con la formazione di Ansar al-Sharia Pakistan il processo di apostasia possa invertirsi, con un'al Qaeda in grado di recuperare la fiducia dei suoi uomini e tornare a capo della rivolta anti-occidentale. I primi passi, del resto, si stanno già vedendo.

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