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La tua t-shirt? Costa ben 2700 litri d'acqua

Partendo dal campo di cotone, giungendo al consumatore finale, per la produzione di una sola maglietta si consumano 2700 litri d’acqua. Ed è solo uno degli esempi più evidenti dello spreco delle risorse idriche mondiali.
A cura di Nadia Vitali
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Partendo dal campo di cotone, giungendo fino al consumatore finale, per la produzione di una sola maglietta si consumano 2700 litri d'acqua. Ed è solo uno degli esempi più evidenti dello spreco delle risorse idriche mondiali.

Il costo in termini di impronta idrica di una semplicissima t-shirt è di 2700 litri di acqua; per un paio di scarpe arriviamo a ben 8000 litri, mentre per un caffè si scende a 140 litri e per una mela a 70: i processi di produzione attuali non sono certamente all'insegna della sostenibilità, secondo quanto messo in luce dal Rapporto Quant'acqua sfruttiamo, redatto dal Sustainable Europe Research Studies per conto dell'associazione ambientalista Amici della Terra. 

Uno spreco notevole che incide nettamente sul nostro pianeta che paga e sta facendo pagare a noi lo sfruttamento indiscriminato delle proprie risorse: sfondato il tetto dei sette miliardi di abitanti della Terra, sono sempre gli stessi a concedersi i benefici non solo del progresso ma anche della natura, quelli che dovrebbero essere garantiti a tutti. L'impronta idrica media giornaliera di un cittadino nord americano, ad esempio, è la maggiore di tutto il mondo con 7650 litri pro-capite, contrapposta a quella di 3350 degli africani; senza contare quelli che, tra quanti vivono nell'Africa sub-sahariana, non hanno neanche accesso a risorse fondamentali per la sopravvivenza.

Per esemplificare quali sono i nostri sprechi quotidiani, quelli di cui non siamo consapevoli e che non si risolvono con le buone norme che è, tuttavia, necessario sempre rispettare per senso di civiltà, il rapporto si sofferma sul percorso di una t-shirt, da quando non è altro che un fiocco di cotone in un campo, fino al suo giungere sugli scaffali di un negozio. Ebbene, per ottenere un chilo di tessuto, scopriamo, sono necessari ben 11000 litri di acqua.

Le piante del cotone, presenti nelle regioni tropicali e subtropicali di tutto il mondo, vengono coltivate in numerosi paesi dell'Asia: nel 2009 i paesi maggiori produttori sono l'India e la Cina. Dell'acqua contenuta al loro interno, circa il 45% è quella proveniente dall'irrigazione, il 41% è l'acqua piovana evaporata dal campo durante la crescita ed il 14% è necessaria per diluire le acque reflue derivanti dall'uso di fertilizzanti e prodotti chimici. A questo vanno aggiunti tutti i processi che portano all'intera realizzazione del prodotto, inclusa la raccolta, l'elaborazione della garza di cotone, la cardatura, la filatura, la tessitura, il candeggio.

Prodotte da un'industria tessile ormai tutta localizzata nei grandi centri emergenti dell'Asia, come Dacca in Bangladesh in cui si contano circa 3000 fabbriche, da uomini e soprattutto donne che lavorano in condizioni di schiavismo totale, realizzando una media di 250 t-shirts all'ora per una paga mensile di 42 dollari.

Anche lo smodato uso di acqua in bottiglia in paesi che dispongono di risorse idriche sufficienti, oltre ad essere costoso e condizionato semplicemente da campagne pubblicitarie, dal momento che «la merce acqua in bottiglia non è molto diversa dall'acqua di rubinetto trattata», crea un impatto ambientale notevole e che sarebbe facile ridimensionare: l'imbottigliamento ed il trasporto sono due processi che che implicano il consumo di grandi quantità d'acqua, energia, materiali, nonché il rilascio di emissioni.

La plastica, attualmente, è una vera e propria piaga che affligge il nostro pianeta: nell'Oceano Pacifico c'è una quantità di spazzatura superiore di sei volte a quella del plancton mentre il Pacific Trash Vortex è composto per il 90% di plastica, materiale che ogni anno uccide 100 000 tra mammiferi ed uccelli marini che lo mangiano, credendo che sia cibo. Forse ciascun cittadino è troppo piccolo e lontano da queste realtà per poterne mutare il corso, ma quel che è certo è che una modifica dei propri comportamenti consumisti che danneggiano non solo l'ambiente ma anche l'umanità, potrebbero rappresentare un passo significativo per il miglioramento.

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