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La tassa sui rifiuti è aumentata di oltre il 70% in 7 anni

Secondo Confcommercio, negli ultimi sette anni la tassa sui rifiuti, per cittadini e imprese, è arrivata a 9,3 miliardi di euro, in crescita del 72%. “Costi ingiustificati che derivano da inefficienza e discrezionalità dei Comuni, dalla cattiva applicazione dei regolamenti e dall’uso di coefficienti tariffari massimi”.
A cura di Giorgio Tabani
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La tassa sui rifiuti aumenta costantemente da sette anni: nel 2017 è arrivata complessivamente a 9,3 miliardi di euro, con una crescita del 72% pari a 3,9 miliardi. A dirlo è il primo rapporto dell'Osservatorio tasse locali di Confcommercio, che ha raccolto e analizzato per un campione di oltre 2mila comuni (rappresentativi di oltre il 60% della popolazione) i dati e le informazioni relative alla Tari pagata da cittadini e imprese del terziario. "Per cittadini e imprese la tassa sui rifiuti comporta costi eccessivi e ingiustificati che derivano in particolare, da inefficienza ed eccesso di discrezionalità di molte amministrazioni locali, da una distorta applicazione dei regolamenti e dal continuo ricorso a coefficienti tariffari massimi".

La percentuale di raccolta differenziata è aumentata negli ultimi sette anni di oltre il 20% e occorre considerare che il costo di gestione dei rifiuti differenziati è circa un terzo rispetto a quello degli indifferenziati. Questa tendenza "avrebbe dovuto presupporre una contrazione significativa della spesa complessiva che, però, non si è verificata". La crescita della tassazione è poi "doppiamente ingiustificata se si considerano i dati riguardo alla produzione totale di rifiuti" che è diminuita. Le imprese spendono di più nonostante la produzione di rifiuti sia scesa dai 32,4 milioni di tonnellate del 2010 ai 30,1 milioni nel 2016.

Secondo la Confcommercio sono due le cause principali: l'inefficienza e il mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata. Le aziende di gestione non sono state in grado di mettere a punto sistemi in grado di raggiungere gli obiettivi previsti dalla normativa. Nonostante la differenziata abbia raggiunto il 52,5% nel 2016 (+5% rispetto al 2015), l'Italia resta in ritardo sugli obiettivi Ue (65%). Il mancato raggiungimento degli obiettivi comunitari è arrivato a costare alla collettività 1 miliardo di euro all'anno fra il 2013 e il 2016. Con la Tari "non si sono andati a coprire solo i costi per migliorare la differenziata, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema". Dai calcoli OpenCivitas (un progetto del Dipartimento delle Finanze) per determinare, comune per comune, il costo ottimale del servizio di gestione dei rifiuti emerge un quadro chiaro: la distribuzione dell’inefficienza è generalizzata, con il 62% dei Comuni capoluogo di provincia che ha una spesa mediamente superiore al costo ottimale. In alcuni casi lo scostamento sfiora l’80%. I cinque comuni che spendono di più sono: Asti (77%), Potenza (67%), Venezia (67%), Brindisi (61%), Reggio Calabria (58%). I più virtuosi sono invece: Pistoia (-33%), Brescia (-29%), Prato (-28%), Forlì (- 27%) e Cesena (-26%).

Per l'Osservatorio, se ci si concentra sulle imprese, si possono riscontrare casi in cui queste "pagano al Comune il costo di un servizio che non viene mai erogato", in quanto ricadono in aree dove sono le imprese stesse a dover provvedere autonomamente allo smaltimento (con relativi costi) dei rifiuti prodotti. Confcommercio cita anche i casi delle aree espositive, di solito grandi superfici dalla ridotta produzione di rifiuti: a queste imprese la Tari viene calcolata comunque sull’intera superficie. Ci sono poi gli alberghi che non erogano servizi di ristorazione, avendo quindi "una capacità di produrre rifiuti pari o, addirittura, inferiore a quella delle abitazioni private", ma che pagano in ogni caso tariffe più alte rispetto ai privati. Parecchi sono poi "i regolamenti comunali che, illegittimamente, non riconoscono alcuna agevolazione nelle ipotesi di locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente".

Parte delle tariffe sono determinate dai Comuni moltiplicando la superficie per specifici coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti. La legge si limita a dare un intervallo di valori, ma spetta poi ai Comuni la scelta del coefficiente. La maggior parte delle amministrazioni sceglie i valori più elevati. "Una libertà che ha sempre svantaggiato in particolare le utenze con una maggiore produttività di rifiuti (ristoranti, pizzerie, ortofrutta e pescherie)".

Altro problema è l'eccessiva discrezionalità assicurata agli enti locali e la mancanza di linee guida sull’applicazione della Tari. Questo ha prodotto "una profonda disomogeneità dei costi per il servizio di gestione dei rifiuti, con scostamenti enormi anche tra Comuni limitrofi". In provincia di Bergamo il Comune di Barzana registra un costo unitario per abitante di 55 euro mentre nella provincia di Brindisi, a Mesagne, la spesa per la gestione dei rifiuti è pari a 699 euro per ogni abitante. A Mola, in provincia di Bar, un ristorante di 500 metri quadri paga 16.401 euro all'anno, mentre ad Alba, in provincia di Cuneo, 7.334 euro.

Per Patrizia Di Dio, membro di Giunta di Confcommercio con delega all'ambiente, "i dati dell'Osservatorio sono la conferma di quanto le nostre imprese siano penalizzate da costi dei servizi pubblici che continuano a crescere in modo ingiustificato. Bisogna, dunque, applicare con più rigore il criterio dei fabbisogni e dei costi standard nel quadro di un maggiore coordinamento tra i vari livelli di governo, ma soprattutto è sempre più urgente una profonda revisione dell'intero sistema che rispetti il principio europeo ‘chi inquina paga' e tenga conto delle specificità di determinate attività economiche delle imprese del terziario al fine di prevedere esenzioni o agevolazioni. In due parole, meno costi e meno burocrazia per liberare le imprese dal peso delle inefficienze locali di gestione".

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