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La proposta di legge di Fi per i menu vegani e vegetariani che ‘dimentica’ i celiaci

La senatrice Gabriella Giammanco ha presentato un disegno di legge con cui si vuole tutelare la scelta di condurre una dieta vegana o vegetariana, proponendo l’obbligo per tutte le mense pubbliche e i locali convenzionati con i luoghi di lavoro di proporre una variante vegetariana e una vegana per tutti coloro che “eticamente” scelgono questa dieta. Ma è davvero etica? Non vale lo stesso poi per i malati di celiachia, che possono usufruire di pasti senza glutine solo dopo una richiesta formale e nemmeno ovunque.
A cura di Chiara Caraboni
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In Italia oggi sono 6 milioni le persone che hanno scelto di condurre una dieta vegetariana o vegana. Una dieta che sta riscuotendo molto successo, una scelta definita etica dai consumatori che decidono di non mangiare carne, pesce, o addirittura i derivati traendone, dicono, un beneficio per la salute. Per questo negli anni è aumentata la produzione di alimenti vegetariani (portandoli all’11% dei prodotti lanciati sui mercati internazionali tra il 2017 e il 2018) e vegani (5% dei nuovi prodotti). Ed è sempre per questo motivo che l’Italia si vuole allineare con i tempi moderni e con le nuove diete proponendo un disegno di legge a tutela dell’alimentazione vegetariana e vegana. Prende il nome di “Norme per la tutela delle scelte alimentari vegetariana e vegana" l’idea portata avanti la vice-capogruppo al Senato di Forza Italia Gabriella Giammanco che, presentata negli scorsi mesi, è stata assegnata alle competenti commissioni al Senato per l’esame. Come si legge nella relazione, "Scegliere l'alimentazione vegetariana o vegana rappresenta un importante passo per bandire dalla nostra vita la violenza verso miliardi di animali e verso l'ecosistema”. Una scelta alimentare che però impone alcune restrizioni quando si tratta di mangiare fuori casa, e questo secondo la senatrice Giammanco va contro i princìpi di uguaglianza sanciti nell’art.3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Quindi i vegani e i vegetariani devono avere lo stesso diritto di scegliere cosa mangiare e dove, esattamente come chi conduce, per esempio, una dieta mediterranea. Per garantire la tutela della libertà di scelta della propria alimentazione, la senatrice ha deciso di portare avanti un progetto composto da otto articoli in cui si descrivono le finalità della legge, si definiscono i termini ‘vegetariano' e ‘vegano' e si individuano i luoghi in cui deve sempre essere assicurata l’offerta di almeno una variante vegetariana e una vegana. I luoghi in questione sono le mense pubbliche, convenzionate, private o comunque che svolgono un servizio pubblico, le mense per le scuole, quelle universitarie e anche tutti i posti in cui i lavoratori possono consumare i propri pasti ovvero i bar e ristoranti convenzionati con il luogo di lavoro. Non solo, il disegno di legge prevede anche dei programmi didattici per gli istituti alberghieri volti a insegnare nozioni di nutrizione, gastronomia e ristorazione vegetariane e vegane, tanto da dare la possibilità, a chi è contro la violenza sugli animali, di non esercitare le lezioni didattiche pratiche su alimenti di origine animale. La violazione del disegno di legge prevede anche una multa salata: sanzione amministrativa pecuniaria che può andare da 3.000 fino a 18.000 euro e, in più, è prevista anche la sospensione della licenza di esercizio per trenta giorni lavorativi.

E i malati di celiachia?

Secondo l’ultima relazione annuale del ministero della Salute al Parlamento, relativa al 2016, i malati certificati di celiachia sono 198.427 con 5.000 diagnosi in più rispetto all’anno precedente. Questo significa che l’allergia al glutine nel nostro paese sta aumentando in tempi molto veloci, considerando che si stimano circa 408.000 persone malate che però ancora non sanno di esserlo o meglio, non sono ancora diagnosticati. La celiachia è una condizione infiammatoria permanente in cui il soggetto che risulta affetto deve escludere rigorosamente il glutine dalla dieta. Questa patologia, ormai classificata come malattia cronica, si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti e colpisce circa l'1% della popolazione. Nonostante i numeri, è una malattia che ancora viene considerata rara per la difficoltà della diagnosi: i pazienti affetti infatti hanno spesso dei disturbi completamente diversi tra loro, e non solo legati all’apparato digestivo. Sebbene in tanti conducano una dieta gluten-free anche se non obbligati, quella dei celiaci invece non è una scelta, ma una realtà in cui alimentazione e terapia si uniscono, sia in ambito domestico che nei più comuni momenti di socializzazione. La ristorazione fuori casa presenta elementi di criticità per la non conoscenza delle problematiche relative alla celiachia che condizionano negativamente l'integrazione dei celiaci e possono compromettere l'osservanza della dieta per la persona affetta dal morbo. Quindi, anche per loro dovrebbe essere riconosciuto l’art.3 della Costituzione. Invece, la legge 123/2005, precisamente all’art.4, prevede che nelle mense delle strutture pubbliche debbano essere somministrati prodotti privi di glutine, ma su richiesta del diretto interessato. Così anche nelle mense scolastiche e universitarie, ma non quelle private o aziendali: la legge non è applicabile a queste, anche se è possibile far valere l’art.32 della Costituzione sul diritto universale alla salute. Questo significa che il disegno di legge della senatrice Giammanco vuole imporre la presenza di alimenti vegetariani e vegani, in modo che chi ha fatto la scelta di seguire questa dieta non sia in qualche modo ‘ghettizzato’. Per i malati di celiachia, che invece non hanno scelto di vivere mangiando gluten-free ma devono farlo, è invece d’obbligo presentare un documento di richiesta di questi prodotti.

È davvero etico mangiare vegano?

Come spiega Matteo Lenardon in Thevision.com, in realtà la scelta di molti prodotti che sono alla base della dieta vegana (in particolare) ma anche vegetariana, non è così tanto etica. Un esempio è quello della quinoa: un alimento estremamente nutriente, ricco di proteine coltivato principalmente in Perù e in Bolivia. Nei due paesi del Sud America, però, l'aumento del commercio della quinoa per le diete vegane ha avuto effetti devastanti: dal 2006 al 2011 il prezzo è triplicato, fino a raggiungere i 3mila euro a tonnellata, ma alcune varietà più privilegiate arrivano a costare anche 8mila euro a tonnellata. "Per questo motivo in Bolivia, un Paese in cui il 45% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno, gli agricoltori hanno cambiato la loro dieta, immutata per oltre 5mila anni. La quinoa, ormai troppo preziosa per essere consumata localmente, viene quasi interamente venduta o scambiata per Coca-Cola, dolciumi industriali e altri prodotti della dieta occidentale", spiega Lenardon. Non solo, questo aumento ha creato dei fenomeni continui di banditismo nei terreni in cui si coltiva la quinoa.

Anche in Perù la condizione è preoccupante, perché questo prodotto ora costa più del pollo e del riso e questo ne ha fatto crollare il consumo, nonostante fosse uno degli alimenti principali nella dieta di un paese in cui il 19,5% dei bambini soffre di malnutrizione cronica. "Il paradosso è evidente: mentre nei Paesi d’origine è diventato più conveniente mangiare l’hamburger di una multinazionale, i ricchi europei e americani possono consumare l’etico, salutista e sostenibile burger vegano di quinoa." Per non parlare poi dell'avocado, frutto chiamato "oro verde" che ha permesso di duplicare gli export del Messico e allo stesso tempo la continua crescita della domanda sta portando alla deforestazione di 700 ettari l'anno. In più, l’enorme quantità di pesticidi e fertilizzanti necessari per la coltivazione degli avocado stanno avvelenando le riserve acquifere utilizzate dagli animali e dalla popolazione. "Il controllo di questo enorme business è in mano al cartello dei “Cavalieri Templari”, l’organizzazione criminale responsabile della distribuzione di crystal meth (metanfetamina) negli Stati Uniti, che ha scoperto un inedito pollice verde da quando i ricavi della vendita di avocado sono passati dai 90 milioni di dollari del 2000 agli 1.3 miliardi del 2012". Ed è per questo che si parla di "avocadi insanguinati", come anche per gli anacardi provenienti per il 60% dal Sud dell'India. Questi frutti, quando vengono puliti, rilasciano un olio caustico formato da acidi anacardici, cardolo e metilcardolo, sostanze che bruciano in modo profondo e permanente la pelle delle lavoratrici indiane che non possono permettersi dei guanti di protezione. Il primato però lo vince la soia: per la sua produzione ogni anno viene distrutto il 3% della foresta pluviale Argentina.

Come commenta Lenardon, comunque:"Non c’è nulla di sbagliato nell’essere vegani, è una scelta personale, come tante altre. Il problema nasce quando si passa da una scelta di vita a una presunta scelta etica, motivata dal voler salvare l’ambiente o gli animali. Questo significa mettersi in una posizione di superiorità morale che semplicemente non trova corrispondenza nei fatti. È solo un voler apparire ecologisti."

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