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La Crusca risponde: così l’Accademia risolve i dubbi più frequenti sulla lingua

Esce “La Crusca risponde, dalla carta al Web”, una raccolta di domande e risposte sull’uso della lingua italiana della prestigiosa Accademia.
A cura di Luca Marangolo
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Ma dire suicidarsi non sarà tautologico? Non sarebbe più corretto dire suicidare? In fondo non si può far altro che suicidare se stessi. Se io dico “Uscire fuori” non c’è qualcosa di irrazionale, dal momento che non si può uscire dentro? Se leggo sul giornale un articolo culturale che dice la lingua greca e latina, non è una scorrettezza grave? Insomma, così sembra quasi che il greco e il latino siano la stessa lingua… Questi ed altri sono gli esempi che linguisti famosi come Serianni e Beccaria citano per parlare de La Crusca per voi, un foglio che la (temuta?) Accademia, che si occupa di coltivare, studiare, preservare la grammatica italiana, pubblica ormai da ventiquattro anni. Ecco che al volumetto La Crusca risponde, pubblicato nel remoto ’95, segue l’omonimo La Crusca risponde, dalla carta al web. 

Il ritorno della Crusca: se tutti noi ci andassimo a leggere quel che c’è scritto ne La Crusca risponde, forse potremmo sapere, per esempio, cos’è un malapropismo. Un malapropismo è un mal à propos, ovvero quando sostituisco involontariamente una parola con un'altra che suona in modo simile, ma dal significato diverso. Alcuni di noi non se rendono conto, e dicono cose che, all’orecchio dei well-educated, suonano assurde come “istigare una curiosità” invece di “istillare”, nuova "di zecche", o l'immancabile "ketchup completo" per check-up. Eppure, a parte questi casi grotteschi in stile "cinico tv", lo stesso espediente può essere anche una strategia comunicativa, retorica, per suggerire qualcosa. E forse scopriremmo pure che quel che è spesso percepito come corretto non è ci andassimo a leggere", ma andassimo a leggere, senza il ci. Anche se, poi, alla fin fine, questo “ci” o altri riflessivi usati così, li troviamo in bocca a tutti, ma proprio a tutti. Il cassiere in banca: “perché non si è scaricato l’estratto conto dal sito web?” il professore universitario all’esame: “mi scusi ma non si è andato a leggere le dispense che ho assegnato?”.

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E quindi, dicevamo, il ritorno della Crusca. In cosa consiste questo “ritorno”? Beh, in fondo in quello che è sempre stato, un po’ lo specchio della dialettica fra quello che è la “grammatica”, la lingua “parlata”, e la lingua “desiderata”. Sì, come direbbe il caro Mike, usando un gergalismo:  Avete capito bene!, si può ben dire che, in questo insieme di domande di più o meno ingenui lettori e dotti linguisti, raccolti nel libretto “La Crusca risponde” sono ben tre (con la e aperta, come direbbe Mike) i tipi di lingua che troviamo.

C’è la lingua prescritta, alias la grammatica, che ci dice come dovremmo parlare, cosa dovremmo dire e cosa no, c’è una lingua parlata che, paradosso dei paradossi, è proprio quella che crea la grammatica. Eh sì perché, come i linguisti sanno bene, e a scuola si insegna ancora troppo poco, la grammatica è solo un tentativo di fissare delle regole riconoscibili della lingua. Regole conclamate, d'accordo, norme che possono (?) essere verificate in modo saldo nell’uso.

Ed è qui che la linguistica, per spiegare questo fatto, interviene con il “classico” paragone "dei treni". Il linguaggio è come una stazione ferroviaria, le lingue usate sono i treni. Se, una notte d’inverno, un viaggiatore arrivasse alla stazione senza trovare i vagoni del treno, sarebbe schockato (o choccato… Chissà come si scrive…). Se invece trovasse tutti i vagoni al loro posto, ma con il treno in lieve ritardo sulla partenza, lo stupore sarebbe minimo, al massimo un po’ di disappunto. Ecco: la grammatica, dicono i linguisti della Crusca ma non solo, serve a distinguere i vagoni dalla tabella oraria, le parti più solide della lingua, a cui tutti (?) siamo più o meno affezionati, dalle parti che variano con più facilità, vengono triturati dalla lingua parlata, mass mediatica e giornalistica, dalla lingua dei politici e così via.

Ma prima abbiamo sfiorato una parola magica “quello a cui siamo tutti affezionati”. Eh sì perché, alla fin fine, la cosa più importante è proprio che c’è un ruolo simbolico, affettivo, della lingua: è forse quello, se non l’elemento più importante, l’elemento più interessante, che spinge molti dei lettori a interrogare la Crusca. Questo ruolo simbolico, molto più sottile, complesso e  resistente di quanto possa sembrare, è proprio quello che, alla fin fine, ci fa titubare un po’ tutti, in modo più o meno (ir)responsabile, sull’idea che quando ci esprimiamo dobbiamo usare le parole giuste.

Rimane pur vero che noi cerchiamo una norma perché attribuiamo un valore alla lingua che utilizziamo e, a maggior ragione, lo attribuiamo altrettanto trasgredendo più o meno consapevolmente alle regole, come fanno i ragazzi quando inventano la lingua in modo vertiginoso. Giusto per fare un esempio rapido, una cosa bella, o che ti dà entusiasmo, non sarà dunque semplicemente entusiasmante, non è più figa, un tempo forse era cool, oggi è il gas, in una catena di metafore e generazioni di significato.

Dialettica dunque, lingua desiderata, lingua parlata e lingua regolarizzata, questo è quello che  emerge dalle tutte le domande e risposte de La Crusca risponde.

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