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Opinioni

La conferenza stampa di Conte non ha chiarito nulla di nulla, su nulla

La conferenza stampa del Presidente del Consiglio arriva dopo settimane di dichiarazioni col contagocce e comunicazioni ridotte al minimo. Eppure, in oltre un’ora Conte è riuscito a non dire praticamente nulla di concreto, né sui contenuti della manovra, né sulle principali questioni all’ordine del giorno.
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“Non ho assunto una posizione specifica su questo tema”. Probabilmente è questa la frase simbolo della conferenza stampa pre-ferie del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, un evento solitamente molto atteso e commentato, che quest’anno è invece scivolato via senza particolare clamore. Con buona ragione, va detto, perché davvero è andata in scena un’ora abbondante di “stiamo studiando”, “ci stiamo lavorando”, “stiamo analizzando i dossier”, “ne stiamo discutendo”. In sostanza, aiutato dalla ricorsività delle domande dei giornalisti (vaccini, Iran, Trump a raffica) e dalla formula che non prevedeva alcun contraddittorio (come ormai abitudine, non solo del “governo del cambiamento”), Conte è riuscito a non dire praticamente nulla di concreto, né sui contenuti della manovra e dunque su cosa intende portare a Bruxelles, né su TAV ("deciderà il governo"… E chi altrimenti?) e TAP, ma neanche su RAI, Ilva, Alitalia e via discorrendo. Reddito di cittadinanza? Flat tax? Aumento Iva selettivo? Pace fiscale? Quota 100? Nulla. Le sole eccezioni sono state rappresentate dal compiacimento sulla gestione dell'immigrazione e dalla smentita di retroscena che lo davano "irritato" con Salvini.

Il Presidente del Consiglio si è tenuto sul “generico”, accompagnando ogni risposta a lunghe spiegazioni di senso (cos’è la Consob, a che punto sono i lavori del TAP) oppure ad amare constatazioni (“per quanto di mia competenza”, “ questo è il governo del cambiamento ma non può inventare gli strumenti della manovra economica”). Anche quando ha parlato di un piano organico da affiancare alla manovra si è limitato a un elenco di cose da fare, senza dire come, secondo quale logica, quali impegni e quali obiettivi: sburocratizzazione, riforma del codice degli appalti, revisione delle tax expenditures, riforma dei processi eccetera.

Era lecito attendersi qualche risposta più chiara alla vigilia di una legge di bilancio fra le più complesse degli ultimi anni. Era lecito attendersi maggiore incisività da chi si è presentato al Parlamento sulle ali della retorica della rivoluzione in atto, ponendosi come l’uomo in grado di cambiare le forme e i modi della politica, trovare una nuova legittimazione popolare, portando i processi decisionali alla luce del sole, fuori dalle stanze dei palazzi del potere. Siamo invece al politicismo puro, al non detto, al governo a colpi di retroscena e indiscrezioni, alla religione dello spot, della frase a effetto. Siamo al rinvio costante e continuo a un "contratto di governo" che (per forza di cose) non può contenere tutte le risposte. Siamo al differimento delle decisioni "ad altri incontri", a "tavoli tecnici", a "valutazioni successive". Siamo al "cambiamo tutto e subito" che, di colpo, è diventato un "dobbiamo fare i conti con la realtà".

Ma soprattutto, oltre due mesi dopo la formazione del governo, a oltre 5 mesi dalle elezioni, siamo ancora a: “L’Italia è il paese più bello del mondo, fra i ministri c’è un clima di lavoro molto buono, faremo di tutto per rendere gli italiani orgogliosi di questo cambiamento”.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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