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Jolly Nero, nuovo processo grazie alla mamma di una delle vittime: “Lo devo a Giuseppe”

Grazie alla tenacia di Adele Chiello Tusa, mamma di Giuseppe, si terrà un processo bis sul disastro del Jolly Nero, il portacontainer che nel 2013 si schiantò contro la banchina del porto di Genova provocando la morte di nove persone: “Dopo la morte di mio figlio dovevo dare un senso al mio dolore. Così mi sono studiata tutti gli atti dell’inchiesta”.
A cura di Susanna Picone
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Se ci sarà un nuovo processo per il disastro della Jolly Nero, la nave che il 7 maggio 2013 sbattendo contro la torre di controllo del porto di Genova causò il crollo dell'edificio e la morte di nove persone, è anche grazie alla mamma di una delle vittime che con coraggio ha combattuto per cercare la verità su quanto accadde quel giorno. È la signora Adele Chiello Tusa, mamma di Giuseppe Tusa, marinaio di origini siciliane che quando è morto aveva trenta anni. Per il disastro della Jolly Nero in primo grado sono state condannate 4 persone e in via amministrativa la società di armatori dell'imbarcazione. Ma fu archiviata la posizione di costruttori, progettisti, collaudatori della torre e quindi dei vertici della Guardia costiera. Anche grazie al lavoro della signora Adele è ora partito un processo bis con 12 imputati, tra cui un ammiraglio, appartenenti alla società Rimorchiatori riuniti e alla Corporazione dei piloti del porto. La prima udienza è stata fissata per il 19 settembre. “Io ho visto le mani di mio figlio Giuseppe, signor giudice, le sue dita erano consumate. Chissà quanto tempo avrà provato ad aprire quella porta”, aveva detto la mamma del marinaio durante il primo processo contro l'equipaggio e l'armatore della Jolly Nero.

Dopo l'archiviazione, la signora ha continuato a studiare le carte, sentire testimoni, ingaggiare consulenti che potessero accertare la realtà dei fatti. Ha creato pagina Facebook per mettere online ogni documento, ogni fotografia che potesse aiutarla a raccogliere indizi validi. E alla fine grazie al suo meticoloso lavoro è riuscita a far riaprire le indagini. “Io nella vita sono stata solo moglie e mamma, nient'altro. Non sono laureata e non sono esperta di costruzioni o di sicurezza sul lavoro”, ha detto ancora al Corriere della Sera la signora spiegando di aver sentito la necessità dopo la morte del figlio di “dare un senso al mio dolore”. “Così – ha spiegato – mi sono studiata tutti gli atti dell’inchiesta, migliaia di pagine. Li ho praticamene imparati a memoria”. “Non sanno di cos'è capace una mamma che vuole giustizia per suo figlio…”, ha aggiunto spiegando di non volere “colpevoli a tutti i costi” ma solo andare fino in fondo perché, così ancora la donna al quotidiano, “lo devo a mio figlio”.

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