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Opinioni

Intel insegna: puntare su innovazione per crescere

Come riuscire a battere le attese di analisti e investitori? Intel ci riesce regolarmente da anni puntando sull’innovazione continua. Un esempio che andrebbe imitato anche dalle aziende italiane…
A cura di Luca Spoldi
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IntelCes2013

Un 2012 contraddistinto da un primo semestre ancora positivo grazie alla forte spinta proveniente dai mercati emergenti, scemata nella seconda parte dell’anno, ha visto Intel impegnata a fronteggiare le trasformazioni in atto nel settore del computing, dove al successo di smartphone e tablet hanno corrisposto maggiori difficoltà sul fronte dei pc. Uno scenario emerso chiaramente dalla trimestrale diffusa ieri dal leader mondiale dei semiconduttori che secondo Dario Bucci, country manager per Italia e Svizzera del gruppo statunitense, non subirà “modifiche drammatiche” nel corso del 2013. Ma come fa un grande gruppo come Intel ad affrontare le sfide macroeconomiche e le trasformazioni in atto nei suoi mercati di sbocco? Facile, facendo quello che gruppi minori (in settori ad alta intensità di capitali le dimensioni contano, come sa bene, per fare un esempio in un altro comparto, il gruppo Fiat) faticano a fare: investendo continuamente in innovazione di prodotto, processo e servizio.

Per il 2013, infatti, il gruppo prevede di effettuare investimenti in conto capitale per 12,5-13,5 miliardi di dollari: considerando che nell’ultimo trimestre a fronte di 13,5 miliardi di fatturato (53,3 miliardi in tutto il 2012) e di un utile netto di 2,5 miliardi (11 miliardi l’utile netto del’intero esercizio) Intel ha investito 4,6 miliardi, sembra di capire che il gruppo conta di mantenere un passo sostanzialmente stabile e potrà farlo senza neppure doversi indebitare eccessivamente, visto che nell’ultimo trimestre è riuscita a generare flussi di cassa operativi pari a6 miliardi di dollari (sfiorando i 19 miliardi in tutto il 2012). Di questi 12,5-13,5 miliardi (destinati a salire a 18,7-19,1 miliardi se si tiene conto delle sole spese di ricerca e sviluppo e delle fusioni e acquisizioni che verranno effettuate) circa 2 miliardi, mi spiegava oggi Bucci in una conversazione telefonica, serviranno a realizzare un nuovo impianto per produrre wafer da 14 millimetri di spessore.

Unitamente al passaggio nel corso dell’anno dalla tecnologia a 22 nanometri (14 nanometri per i chip usati per applicazioni mobili come tablet e smartphone) alla tecnologia a 32 nanometri (cui Intel vuole portare sia le linee di produzione di chip per pc sia quelle per terminali mobili) questo significa mettere in conto tanto lavoro. Sempre Bucci mi spiegava come nel caso della sostituzione delle linee produttive di wafer, il supporto di silicio sul quale si incidono i microcircuiti, si fa prima, in pratica, a cedere i vecchi impianti e realizzarne di nuovi che non a riconvertirli, mentre nel caso dell’introduzione di nuove linee produttive per le cpu serve circa un anno prima che si possa riprendere l’attività (per fare ancora un confronto con Fiat, il produttore italiano ha chiesto la cassa integrazione straordinaria per lo stabilimento di Melfi, dove attualmente è prodotta la Fiat Punto su due linee produttive, dall’11 febbraio di quest'anno al 31 dicembre 2014, per poter installare la nuova linea produttiva di un modello a marchio Jeep).

Una lezione per tutte le aziende, grandi e piccole, che nel “Belpaese” troppo spesso non sembrano in grado di programmare alcuna innovazione, accusando sistematicamente l’eccessivo costo del lavoro e l’opprimente peso fiscale (oltre alle lungaggini burocratiche quando non ad ostacoli di altro tipo, dalla corruzione alla criminalità) come motivo che impedisce loro ogni sforzo in tal senso. Eppure anche in Italia innovare se si vuole si può, certo avendo i capitali adeguati allo scopo (e qui purtroppo debbo notare come ancora oggi Bankitalia abbia diffuso dati dai quali non emerge alcun sostanziale miglioramento delle situazioni relative all’erogazione del credito). L’innovazione è tuttavia possibile e anzi auspicabile perché nonostante tutto sta cambiando il panorama culturale italiano, sia a livello di utenti/cittadini/contribuenti singoli sia di aziende o enti pubblici.

L’esempio, ancora una volta, viene da Intel, che assieme a VASCO Data Security International e InfoCert ha siglato un protocollo d’intesa relativo ad “una collaborazione che intende ottimizzare le soluzioni di autenticazione degli utenti italiani” per tutelare tramite Mydigipass.com gli utenti nell’accesso al servizio di posta elettronica certificata Legalmail (un servizio cloud di posta elettronica certificata di InfoCert, con conferma di data e ora e la garanzia di ricezione dell’email da parte del destinatario). Perché forse in pochi se ne sono accorti ma lentamente anche in Italia le mail certificate stanno prendendo piede, alcuni servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione possono essere richiesti solo tramite posta elettronica, gli ebook stanno prendendo piede con iniziative “dal basso” (a livello di singoli istituti, provveditorati o regioni), i tablet sono sempre più presenti accanto agli smartphone nelle tasche (e nei borselli) di giovani e meno giovani che li utilizzano non solo per chattare e giocare online ma anche per lavoro.

Volendo ci sono spazi enormi per investire, innovare, creare nuovi posti di lavoro. Ci sarà qualcuno in grado di accorgersene e un sistema (amministrativo, economico e finanziario) in grado di sostenere gli innovatori? Intel Italia sembra crederci, io pure ne sono convinto. Sempre che alla fine non prevalga la nostalgia per i bei tempi passati che non possono più tornare o la difesa strenua degli interessi di una parte della società italiana contro tutte le altre. Ipotesi tutt’altro che peregrina purtroppo e che da sola spiega una parte cospicua del gap che questo paese ha accumulato negli anni rispetto agli altri paesi europei e mondiali. Per inciso con una crescita che da quasi 20 anni non supera se non sporadicamente lo 0,5% medio di crescita del Pil annuo. E guarda caso il Governatore di Banca d'Italia, Ignazio Visco, è tornato oggi a dire che quest’anno sarà un anno difficile, in cui il Pil potrebbe calare di un punto percentuale, pur con una ripresa nella seconda parte dell’anno.

Visto da dove partiamo viene il dubbio che la “tabella di marcia” che hanno in testa gli esperti di Via Nazionale sia all’incirca: -2,5% questo primo trimestre, -1,5% il prossimo, -0,5% tra luglio e settembre, +0,5% nel quarto trimestre e da lì variazioni di mezzo punto-tre quarti di punto sopra o sotto quel livello che, guarda caso, tornerebbe in media con le nostre “performance” recenti. Uno scenario deprimente che a maggior ragione si dovrebbe cercare di migliorare continuando a investire con coraggio e forse con un filo di incoscienza italica, sperando che il prossimo governo, quale che sia, riesca a indurre la Germania e l’Europa tutta ad allentare la “repressione fiscale” e ad allungare il percorso di rientro dall’indebitamento pubblico e privato, facendo rifiatare consumi e investimenti. Intel ci proverà di certo, speriamo non sia la sola.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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