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Perché gli NFT su Instagram e Facebook potrebbero essere un problema

Su Instagram e Facebook si potranno pubblicare non-fungible tokens, ecco i rischi legati al fenomeno.
A cura di Elisabetta Rosso
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Un futuro decentralizzato, a metà tra un deus ex machina e uno schema Ponzi. Il Metaverso, per ora, è una pallida utopia che scalcia per trovare spazio e identità. La decisione di Meta di far sbarcare gli Nft su Facebook e Instagram va in questa direzione, e potrebbe essere un problema.

Nel 2018 lo scandalo dei dati Facebook-Cambridge Analytica. I dati personali di 87 milioni di account vengono utilizzati senza il loro consenso per fare propaganda politica. Stesso anno. Facebook permette a Netflix e Spotify di leggere i messaggi privati sulle chat di Messenger, ad Amazon di ottenere i nomi e le informazioni di contatto degli utenti. Nel 2021 vengono rubati 533 milioni di numeri di telefono e dati personali, messi poi in vendita sul forum di un hacker. Quest’anno il report redatto dagli ingegneri della privacy del team Ad and business product di Facebook denuncia che il social non è in grado di tenere conto di gran parte delle informazioni personali degli utenti. I nostri dati, su Facebook, ora Meta, non sono al sicuro.

Cosa rischiamo caricando gli Nft?

In queste condizioni di esistenza, caricare Non-fungible token (i certificati blockchain che attestano l’autenticità di opere o asset digitali) sulle piattaforme di Meta, potrebbe non essere sicuro. Per farlo infatti è necessario condividere il proprio wallet digitale, uno strumento di pagamento elettronico che memorizza le versioni virtuali delle carte di debito e di credito. Secondo la logica della blockchain trasparente e tracciabile, propria degli Nft, associando il wallet al proprio account tutti possono vedere cosa contiene al suo interno. In poche parole Meta, oltre ai dati storici che già possiede, acquisisce ulteriori informazioni dai wallet caricati dagli utenti che vogliono postare, vendere o comprare Nft.

Ci sono anche altri problemi

I dati personali in una blockchain possono essere conservati illimitatamente. Durano per sempre. Non solo, le informazioni non sono modificabili se non coinvolgendo tutti i blocchi e i dati inseriti sono pubblici e consultabili da tutti i partecipanti. Non è detto però che un utente abbia indicato che tali dati possano essere accessibili. Secondo il GDPR (General Data Protection Regulation), dell’Unione europea, l’utente ha diritto a cancellare i dati personali quando non più necessari, chiedere la correzione delle informazioni errate e limitare l’elaborazione o l’utilizzo dei dati personali. Ogni punto è incompatibile con il Dna degli Nft. Non solo. Allargando i meccanismi del Web3 al grande pubblico c’è anche il rischio dell’errore inconsapevole. Password poco protette, acquisti azzardati, il livello di competenza di chi maneggia gli Nft potrebbe rappresentare un nuovo problema. Sicuramente a trarne vantaggio saranno le truffe nel mondo crypto. Nell’ultimo anno sono stati rubati Nft per un valore di più di 100 mln di dollari. Si stanno consegnando a persone non esperte le chiavi di un mondo che vale già miliardi di dollari.

La cooptazione degli Nft da parte delle grandi piattaforme tecnologiche non sorprende. Il Web 2 segue l’odore dei soldi, e Meta ha parlato chiaro, vuole rendere gli Nft un fenomeno di massa, strapparli dagli angoli periferici di Internet, portarli sulle piattaforme mainstream. D’altronde sono nati per appartenere al Metaverso. Mondi virtuali inoperabili, dove i nostri avatar interagiscono, e l’economia occupa il suo nuovo spazio nell’etere digitale. Sono in fin dei conti un modo per acquistare nel Metaverso. E ogni cosa ha un valore solo se può essere comprata. Insomma, servono a rendere meno pallida l’utopia di un mondo virtuale. Ma a che prezzo.

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