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Guerra in Ucraina

Il CEO di Telegram non ha confermato se i dati degli utenti sono protetti

Il fondatore e CEO di Telegram, Pavel Durov, ha pubblicato un post sul tema della protezione dei dati degli utenti. Ma i dubbi sulla sicurezza di Telegram restano.
A cura di Marco Paretti
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Il rapporto tra Telegram e la guerra in Ucraina ha generato un paradosso che ancora oggi non si è risolto. Ne abbiamo scritto qualche giorno fa, spiegando che la crittografia end-to-end del servizio di messaggistica non è attiva nelle chat di gruppo (utilizzate nel paese per organizzare la resistenza) e che quindi i dati vengono immagazzinati in chiaro all'interno dei server. Questo approccio apre le porte a innumerevoli problematiche, tra cui la possibilità che l'azienda ceda queste informazioni al governo russo o che hacker russi possano accedere illegalmente ai server e ai dati delle conversazioni. Un tema su cui è intervenuto anche il fondatore e CEO, Pavel Durov, con un messaggio che, però, non ha chiarito il punto fondamentale: i dati degli utenti sono al sicuro?

"Sto con gli utenti nonostante tutto" ha scritto Durov sul suo canale Telegram. "Il loro diritto alla privacy è sacro, ora più che mai". E se dal un lato è vero che nel 2018 l'app si è rifiutata di consegnare alcuni dati al governo russo (con conseguente blocco, processo e ripristino del servizio), dall'altro il messaggio di Durov non conferma che oggi i dati siano effettivamente fuori dalla portata della Russia. Non che il fondatore non abbia alle spalle un impegno nella protezione dei dati: Durov ha fondato VKontakte, il principale social network russo, poi abbandonato proprio a causa delle richieste da parte delle autorità di fornire i dati degli utenti ucraini che nel 2010 si opponevano alla leadership filorussa. In seguito al suo rifiuto, Durov ha perso il controllo di VK ed è scappato all'estero: oggi è cittadino francese e il social è controllato dallo stato.

È a questo punto che Durov fonda Telegram, oggi la seconda applicazione di messaggistica più usata in Russia dopo WhatsApp. Il problema, però, è che non è totalmente crittografata con tecnologia end-to-end, elemento che ne espone potenzialmente i dati. Oggi gli utenti ucraini devono avere fiducia nell'azienda e nel suo rifiuto di consegnare i loro dati, ma anche nella sicurezza dei suoi server: se un hacker dovesse introdursi nei sistemi informatici del servizio, potrebbe accedere alle informazioni conservate in chiaro perché, appunto, non crittografate. Senza contare il rischio che un dipendente interno possa far trapelare questi dati. In questa situazione, il post di Durov non è sufficiente a diradare i dubbi sulla sicurezza del servizio.

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